Gazzetta di Modena

Modena

Clan dei Casalesi, preso il boss "modenese"

Giovanni Tizian
Sigismondo Di Puorto, il boss del Clan dei Casalesi preso ieri A destra uno degli arrestati portato via dalla nostra questura
Sigismondo Di Puorto, il boss del Clan dei Casalesi preso ieri A destra uno degli arrestati portato via dalla nostra questura

Di Puorto comandava sul nostro territorio dopo gli arresti degli Schiavone, padre e figlio

21 dicembre 2010
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Aveva fatto perdere le tracce da oltre un anno. Ieri Sigismondo Di Puorto, conosciuto negli ambienti mafiosi come " Sergio", ha terminato la sua lunga fuga. La Squadra Mobile di Caserta l'ha scovato in una casa di Casal di Principe ed è stato arrestato. Di Puorto è considerato il numero tre del Clan. Dopo i latitanti Michele Zagaria, detto "Cuoll'stuort", e Mario Caterino, detto "Mario a botta", c'è Sigismondo Di Puorto. Era ricercato in seguito all'operazione "Pressing-San Cipriano" eseguita dalla Squadra Mobile di Modena, guidata da Amedeo Pazzanese, e coordinata dalla Dda di Bologna. Un'indagine conclusa a marzo scorso, che ha portato all'arresto di 20 persone e al sequestro di beni per un valore di 6 milioni di euro. A breve dovrebbe iniziare il processo. Le figure di spicco emerse dall'operazione "Pressing-San Cipriano" sono quelle di Alfonso Perrone, Sigismondo Di Puorto, Mario Temperato e Paolo Raviola. I primi tre rappresentano i colonnelli del Clan in Emilia, il quarto è identificato come il "commercialista" del gruppo. Di Puorto, la cui famiglia abita a San Prospero, è legato ai boss che hanno fatto la storia criminale del clan dei casalesi. Le conferme arrivano dal suo passato. Nel 2001 viene fermato a Modena mentre è in compagnia di Mario Iovine, detto "Riffifì", accusato dal collaboratore di giustizia Domenico Bidognetti di essere il curatore, nella provincia di Modena, della gestione dei videopoker che venivano imposte dal Clan nei locali della provincia. "Riffifì" è un pezzo da novante del Clan e gli investigatori lo indicano anche come braccio economico di Antonio Iovine detto "O ninno", arrestato il mese scorso dopo quasi quindici anni di latitanza e ritenuto uno dei capi assoluti del Clan. DI Puorto conosce molto bene anche Salvatore Iovine, cugino di "O ninno". E in uno dei suoi frequenti ritorni a Casal di Principe, incontra Carmine Schiavone, figlio di Francesco detto "Sandokan" storico e indiscusso boss ergastolano del Clan, detenuto al 41 bis. Le sue frequentazioni e le intercettazioni lasciano poco spazio a dubbi sul suo profilo mafioso. Per ottenere i suoi scopi utilizza metodi che il gip definisce mafiosi, tanto che i reati di estorsioni contestegli sono aggravati dall'articolo 7 della legge 203/1991, ossia dal metodo mafioso. Di Puorto, secondo l'accusa, è con Alfonso Perrone il terrore degli imprenditori della provincia di Modena. «Lo vuoi andare a prendere ora che lo voglio massacrare...» e' una delle richieste che Sigismondo Di Puorto fa ai suoi sodali per farsi portare tra le mani gli imprenditori che ancora non si sono "messi a posto" o non hanno pagato. Col recupero crediti il Clan praticava estorsioni. Nell'operazione sono stati coinvolti imprenditori che si rivolgevano a Di Puorto, Perrone e Temperato per recuperare crediti che avanzavano da altre imprese, che dato il momento di crisi non riuscivano a saldare il debito contratto. Il servizio offerto da Di Puorto permetteva agli imprenditori che affidavano il recupero al Clan di ottenere un vantaggio competitivo non da poco, realizzando una vera e propria concorrenza sleale. «E' conciato male... a u ospedale», commenta Di Puorto con un altro indagato il giorno dopo il pestaggio di un imprenditore in ritardo con i pagamenti. L'imprenditore è stato mandato in ospedale veramente. Il referto medico lo certifica. E parla di numerose fratture. L'imprenditore è stato anche operato per ridurre la frattura mandibolare con l'applicazione di una placca. Perrone e Di Puorto si sentono padroni, scorazzano in provincia di Modena, spavaldi e pieni di sè. Di Puorto non svolgeva nessun lavoro eppure grazie all'opera di Raviola "il commercialista" aveva a disposizione conti correnti non intestati a lui dove confluivano i soldi delle estorsioni.