Aemilia. Affari, appalti, politica e polizia: 288 anni alla cosca di casa nostra
La condanna in appello “pietra miliare” sulle infiltrazioni di ’ndrangheta tra Modena, Reggio e Parma. A Gerrini resta l’abuso d’ufficio. Tredici assoluzioni, ma per due degli scagionati il giudizio è ribaltato
MODENA. Una mafia ormai senza coppola e lupara, che ha saputo farsi strada nella opulenta e distratta terra degli “anticorpi” tra Modena, Reggio e Parma. Contaminando settori importanti dell’economia, dei servizi, delle istituzioni di polizia. E della politica.
Nella sentenza letta ieri a porte chiuse presso la Corte di Appello di Bologna dalla presidente del collegio, Cecilia Calandra, c’è la prima - pesantissima - pietra miliare (e filosofare) sulla organizzazione di ’ndrangheta aggredita dall’inchiesta Aemilia.
In 288 anni complessivi di carcere la conferma dell’impianto accusatorio scaturito dal mastodontico (e ancora incompleto) lavoro dei pm della Dda, Marco Mescolini e Beatrice Ronchi, e dal certosino e infaticabile servizio del Reparto Operativo dei carabinieri di Modena, con l’aiuto di tanti tra colleghi e persone di... buona volontà. In primo grado, nel processo con rito abbreviato scelto da 58 degli imputati, tra cui i pezzi da novanta dell’organizzazione che puntavano quantomeno allo sconto di pena previsto da questo rito alternativo, erano fioccate sentenze esemplari, scritte dal Gup di Bologna, Francesca Zavaglia.
Dopo mesi di udienze e quattro giorni chiusi in albergo a ricomporre le carte e le prove, i giudici di Bologna hanno in sostanza confermato e consolidato quella sentenza. Con tredici assoluzioni e un paio di mazzate ulteriori, a cosca e dintorni. Anzitutto la condanna a quattro anni di reclusione del politico e consigliere comunale di Reggio, l’avvocato Giuseppe Pagliani (Pdl) assolto in primo grado.
Per l’altro politico coinvolto, l’ex assessore parmense Giovanni Paolo Bernini, la sentenza non rinnega il delitto, ma conferma l’avvenuta prescrizione.
Condannato anche l’imprenditore dei trasporti calabrese trapiantato a Reggio, Michele Colacino, anche lui assolto in primo grado: 4 anni e otto mesi.
In un elenco eloquente di nomi e “personalità”, Modena recita puntualmente la sua parte. Partendo dalla Bassa, ovvero dalla conferma dell’ abuso d’ufficio di Giulio Gerrini, capo dell’area tecnica del Comune di Finale, prodigo di favori nei finanziamenti post sisma ad imprese locali infiltrate dalla cosca.
Confermata la condanna - 3 anni e 4 mesi - anche di Antonio Frizzale, benzinaio di Spilamberto accusato di avere indicato a Nicolino Sarcone e ai suoi sodali il nome di una vittima delle loro estorsioni. E così dicasi della formiginese Barbara Nigro: un anno e otto mesi per le fatture fuffa redatte a favore del clan.
Nessuno sconto di pena per il “giornalista” amico di quel clan, il carpigiano e tifoso del Carpi Marco Gibertini, trasferito a Reggio. Da dove vantava al telefono con i vip di Carpi le amicizie importanti nella ’ndrina, contribuendo (il reato più grave è concorso esterno) ai suoi affari nelle allegre fatture: 9 anni e 4 mesi, più due di libertà vigilata.
La sentenza deflagra anche nella Sassuolo dei cosiddetti “intoccabili”: aumentata di due mesi (un anno e 8 mesi) la punizione a Paolo Pelaggi, con analoghe conferme per altri accoliti legati alla combriccola che fece saltare l’Agenzia delle Entrate.
Confermate tra l’altro la condanna a 15 anni per Nicolino Sarcone, considerato uno dei boss della cosca. Per l’accusa aveva come punto di riferimento la ’ndrina Grande Aracri.
Altri 14 anni e due mesi per associazione mafiosa ad Alfonso Diletto, e sei anni e otto mesi per Nicolino Grande Aracri, considerato il boss di riferimento della cosca di Cutro che ha filiato quella emiliana. Tanto che a Bologna Nicolino non era accusato di associazione mafiosa.
Anche la polizia fa la sua parte, dopo che in questi giorni al parallelo processo di Reggio sono emersi i racconti di intollerabili promiscuità tra ex dirigenti delle forze dell’ordine e altri imputati al processo. Domenico Mesiano, l’ex autista del questore di Reggio e l’agente Antonio Cianflone, hanno rimediato otto anni e sei mesi. Mesiano, oltre al concorso esterno in associazione mafiosa era accusato di violenza privata per le minacce alla giornalista Sabrina Pignedoli.
Roberta Tattini, l’avvenente commercialista che si vantava di avere i boss tra i clienti, “guadagna” otto anni e otto mesi.