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Modena, l’eccidio alle Fonderie: un colpo di pistola poi la mitragliatrice sulla folla

Modena, l’eccidio alle Fonderie: un colpo di pistola poi la mitragliatrice sulla folla

“Ai primi di dicembre del 1949 Orsi diede gli auguri di buone feste ai lavoratori delle Riunite, attuando la seconda serrata delle fonderie e il licenziamento di tutti i 560 lavoratori occupati, per...

08 gennaio 2018
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MODENA. Ricorre l’anniversario dell’eccidio delle Fonderie Riunite di Modena. Il 9 gennaio 1950 morirono, sotto il fuoco della polizia, sei operai in sciopero. All’epoca Eliseo Ferrari era il segretario cittadino della Fiom e di quei drammatici giorni tenne un resoconto dettagliato - pubblicato in "A sangue freddo. Modena 9 gennaio 1950. Cronaca di un eccidio" (Edizioni LiberEtà, Roma 2004) – di cui riportiamo alcuni passi.

Ricordi di fatti che hanno segnato la storia della città. Ricordi che fino agli ultimi giorni di vita – racconta chi ha conosciuto di persona – facevano piangere Ferrari “come un bambino”. Lo sciopero alle Fonderie era stato organizzato dalla Cgil contro i licenziamenti di oltre 500 metalmeccanici. La polizia sparò sui manifestanti per impedire l’occupazione della favvrica. Vi furono centinaia di feriti e sei vittime: Angelo Appiani, Renzo Bersani, Arturo Chiappelli, Ennio Garagnani, Arturo Malagoli e Roberto Rovatti. 

IL RACCONTO DI ELISEO FERRARI

“Ai primi di dicembre del 1949 Orsi diede gli auguri di buone feste ai lavoratori delle Riunite, attuando la seconda serrata delle fonderie e il licenziamento di tutti i 560 lavoratori occupati, per rappresaglia al rifiuto di accettare le sue pretese di licenziare 300 lavoratori scelti dalla direzione tra cui gli attivisti sindacali (...).

Subito dopo il capodanno del 1950, nella sede di Confindustria vi fu una riunione degli industriali della provincia di Modena dove venne deciso l’uso della polizia a sostegno di Orsi per reprimere con la violenza ogni manifestazione sindacale e di massa. Nel frattempo il prefetto e il questore rifiutarono alla Camera del lavoro qualsiasi piazza per svolgere, il lunedì 9 gennaio, la manifestazione sindacale provinciale prevista e decisa nel Consiglio generale dei sindacati e delle leghe (…).

La domenica 8 gennaio affluirono a Modena dal Nord Italia, dal Veneto e dalla Toscana ingenti forze di polizia e di carabinieri: circa 1500 con autoblindo, camion, jeep, armati di tutto punto, tra cui i corpi speciali anti sommossa. I viali del parco davanti alla questura erano pieni (…). Alle sei del mattino di lunedì 9 gennaio 1950, nel salone del circolo Sirenella, in via Montegrappa, presiedetti l’assemblea generale di tutti i lavoratori delle Fonderie Riunite. Vi erano quasi tutti gli operai e gli impiegati, compresi i portinai. Man mano che arrivavano, a piedi o in bicicletta, dovevano passare tra i blocchi stradali della polizia che vietavano il transito ai veicoli di qualsiasi tipo e controllava i documenti, perquisendo le borse per il mangiare (…). La riunione si svolse serenamente e pacificamente. Tutti d’accordo di non accettare nessuna provocazione e di stare nei pressi della fabbrica.

La polizia aveva occupato il posto dove solitamente stavamo come picchetto: i lavoratori si spostarono più lontano anche perché davanti all’ingresso dello stabilimento vi erano dei camion pieni di poliziotti armati in attesa di entrare in azione. Bevevano abbondanti alcolici, propinati loro dagli ufficiali.

Andai alla Camera del lavoro a informare la segreteria della Fiom della situazione e dei rischi incombenti. Si decise: una delegazione di parlamentari, deputati e senatori, sarebbe andata dal prefetto e una dal questore insieme con i dirigenti sindacali per chiedere l’autorizzazione ad avere la piazza per svolgere la manifestazione sindacale alle ore dieci, quando avrebbe avuto inizio lo sciopero generale. Il questore aggredì verbalmente la delegazione: «Vi stermineremo tutti!» gridava come un pazzo furioso, rifiutando il dialogo e quindi l’autorizzazione alla piazza.

I lavoratori affluivano a Modena dalla provincia con ogni mezzo di trasporto, recandosi nel quartiere Crocetta Santa Caterina, nei pressi delle Fonderie Riunite. A piedi, quelli delle fabbriche della zona industriale di Modena nord, aggirando i blocchi della polizia passando tra i campi per stradine o sentieri. Si calcola fossero decine di migliaia. La città tutta si era fermata, i negozi erano chiusi e la gente per solidarietà o semplicemente per curiosità, non avendo altro posto dove andare, si recavano alla Crocetta.

Poco dopo le dieci un gruppo di una decina di lavoratori si trovava all’esterno della fabbrica vicino al muro di cinta, cercando di dialogare con i carabinieri che si trovavano all’interno. Uno di questi sparò con la pistola, a freddo, uccidendo Angelo Appiani, colpito in pieno petto. Nel frattempo, dal terrazzo della fabbrica, gli agenti della “benemerita” spararono con la mitragliatrice sulla folla inerme che si trovava ferma sulla via Ciro Menotti, oltre il passaggio a livello, chiuso per il passaggio di un treno. Arturo Chiappelli venne colpito a morte così Arturo Malagoli, molti furono feriti gravemente e tanti in modo più leggero. Fu una strage terribile: urla e gemiti e invocazioni disperate di soccorso. L’asfalto divenne rosso di sangue. La gente scappava, cercava rifugio, alcuni assistevano i feriti e li trasportavano al riparo dove era possibile, li medicavano facendo le bende strappandosi le maglie di dosso e con i fazzoletti, suturando ferite e tentando di fermare emoraggie (…).

Roberto Rovatti si trovava in fondo a via Santa Caterina vicino alla chiesa, cioè dal lato opposto e distante più di mezzo chilometro da dove vennero uccisi i suoi compagni. Portava una sciarpa rossa al collo com’era sua abitudine. Circa mezzora dopo la prima sparatoria, venne circondato da un gruppo di carabinieri, scaraventato violentemente dentro al fosso e massacrato, linciato a forza di tremende botte con i calci dei fucili. Non aveva opposto nessuna resistenza. Ennio Garagnani venne assassinato in via Ciro Menotti dal fuoco di un’autoblindo che sparava all’impazzata tra la folla ferendo molti gravemente (…).

Nella tarda mattinata, finalmente, il prefetto autorizzò l’uso di piazza Roma per svolgere la manifestazione sindacale, quando ormai il barbaro eccidio era consumato. Si calcola che nel quartiere Crocetta Santa Caterina fossero affluite circa centomila persone (…). Era da poco trascorso mezzogiorno, la macchina della Cgil con l’altoparlante aveva già annunciato la manifestazione in piazza Roma invitando i lavoratori a partecipare. La gente aveva cominciato ad affluire. In fondo a via Ciro Menotti, all’incrocio con via Paolo Ferrari e Montegrappa, uscendo da una parte dove si era riparato, Renzo Bersani attraversava la strada a piedi senza correre, un graduato si inginocchiò sulla strada, era lontano da lui circa 150 metri, prese la mira e gli sparò, fulminandolo, di fronte a migliaia di testimoni (…).

Nel primo pomeriggio del 9 gennaio 1950 i commissari di polizia sguinzagliati a piedi sulle strade e lungo la ferrovia del quartiere cercavano qualche oggetto come “corpo del reato” per dimostrare la presunta, violenta resistenza dei lavoratori. Non trovarono niente perché non c’era niente. Nessun poliziotto rimase ferito, solo uno si procurò delle escoriazioni cadendo da solo da un automezzo perché mezzo ubriaco (…).

L’Italia, in occasione dei solenni funerali a Modena dei sei lavoratori caduti, si fermò (…). Le bare, portate a spalla dai compagni di lavoro, passarono in mezzo al popolo, ai democratici di tutti i partiti e sindacati, venuti da ogni dove per rendere omaggio e dare l’ultimo saluto (…).

Nel processo tutti e trentaquattro i lavoratori arrestati vennero assolti con formula piena per non aver commesso il fatto. Avevano trascorso in carcere oltre due anni, vittime innocenti di una politica faziosa e autoritaria a danno dei più deboli. Nel processo contro i responsabili dell’eccidio che si svolse presso il tribunale di Modena, tutto il castello di menzogne crollò miseramente e per la prima volta i funzionari di polizia vennero condannati per «l’uso troppo frettoloso delle armi». Lo Stato pagò ai famigliari dei caduti un risarcimento economico per le perdite dei loro cari, cosa mai accaduta prima. Era un fatto positivo, anche se gli assassini, complice il governo, l’hanno fatta franca (…).

Tre giorni dopo l’eccidio, il 13 gennaio 1950, in prefettura alle ore 17 e 30 venne firmato l’accordo per la riapertura delle Fonderie Riunite senza nessun licenziamento e nessun’altra condizione, se non quella della gradualità nella riammissione al lavoro di tutti i dipendenti. I lavoratori avevano respinto le pretese assurde e liberticide del padrone, difeso i loro diritti sindacali e le libertà costituzionali”.