Gazzetta di Modena

Modena

L’evento del 12 marzo

«Dalla violenza alla rinascita»

Ginevramaria Bianchi
«Dalla violenza alla rinascita»

Kinesfera sul palco dello Storchi

05 marzo 2024
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Ma perché non giochi a calcio?”, “è uno sport da donne”, o ancora, “dovresti trovare un hobby più virile”.

Qui riportate, ci sono solo alcune delle frasi che devono sentire quotidianamente i ragazzi che ballano. E l’unico modo per non ascoltarle, è sfornare uomini calciatori e donne ballerine.

Così, i maschi che si approcciano alla danza sono pochissimi, e spesso è proprio uno stereotipo sociale a guidarli nella scelta di sport e passioni che, di certo, non comprende la danza. È un mondo da sempre associato agli chignon, ai tutù e ai merletti, e per questo motivo i palcoscenici presentano sempre un numero molto esiguo di ballerini. Alessio Vanzini, direttore e coreografo della scuola di danza Kinesfera di Castelfranco Emilia, ha vissuto, fin da piccolo, questo tipo violenza di genere, di cui non si parla spesso, ma che è fortemente radicato nella nostra cultura. E oggi, dopo tanti anni, fa ancora fatica a far capire che il ballo “non è solo per ragazzine”.

Vanzini, anche quella che ha vissuto lei nella danza è considerabile come una violenza di genere subita?

«Sì, lo è. La società non prevede che la danza possa essere anche per gli uomini, e quindi, fin da piccoli, noi ballerini portiamo il peso sulle spalle di praticare uno sport per “femminucce”. In realtà, per danzare, c’è bisogno di utilizzare un gran quantità di muscoli e forza fisica: è un’arte che richiede tantissima disciplina, self control e tecnica. Le persone non se ne accorgono, sanno solo deridere. Molti, durante l’infanzia, smettono di ballare proprio a causa del bullismo. Molti, per colpa delle ideologie patriarcali, nemmeno ci provano a entrare in una sala da ballo. Quindi sì, è una violenza di genere anche questa».

È per questo che lei e la scuola di danza che dirige, siete molti legati alla causa femminile?

«Esattamente. Kinesfera da anni porta sui palcoscenici delle coreografie ispirate alla violenza sulle donne. Inoltre, da tempo seguiamo tantissimi progetti che vanno a sensibilizzare sul tema chi danza e chi ci guarda danzare. Uno di questi, per esempio, è “Tana libera tutti e tutte”, dove insegniamo ai bambini, attraverso la danza, i giusti linguaggi corporei, verbali e artistici da adottare quotidianamente per interfacciarsi con gli altri, così da educare proprio i piccoli cittadini al contrasto di ogni forma di violenza».

Per la serata organizzata dal nostro giornale in collaborazione con Csi, Cisl e Lapam, avete ideato qualche coreografia diversa rispetto al solito?

«Generalmente portiamo coreografie molto crude, dove rappresentiamo la totale dominazione dell’uomo sulla donna. Per la serata del 12 marzo al teatro Storchi, invece, tre professioniste della nostra scuola porteranno in scena la rappresentazione di quella che è la rinascita della donna. Abbiamo modellato, per mezzo del ballo, il momento in cui la vittima riesce a uscire da un contesto violento e malsano. Per questo evento abbiamo voluto lanciare un messaggio positivo, provando a dire che, nonostante tutte le difficoltà, è possibile uscirne».