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Modena, Artemisia sposa “Invivavoce”: dal 16 aprile mostra e parole

Ginevramaria Bianchi
Modena, Artemisia sposa “Invivavoce”: dal 16 aprile mostra e parole

Tutte le iniziative nel cuore di piazzale Torti

12 aprile 2024
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MODENA. Le immagini hanno il potere di catturare non solo momenti, ma anche emozioni e storie. In una mostra fotografica dal titolo significativo, “Invivavoce”, i ricordi sono raccolti ed esposti per portare alla luce una realtà delicata e urgente: la violenza sulle donne. Tutti gli scatti eseguiti dal fotografo Diego Camola durante “Invivavoce - storie sommerse di violenza di genere”, lo spettacolo andato in scena il 12 marzo al teatro Storchi, organizzato dal nostro giornale in collaborazione con, Lapam, Csi e Cisl, troverà casa in un locale situato nel cuore vibrante di Modena. Ad animarle anche le parole di Marika Minghetti, che per il Csi cura la parte culturale ed artistica (inaugurazione il 16 aprile). Il palcoscenico per questa mostra non è uno spazio convenzionale e asettico, ma è il suggestivo locale “Artemisia”, gestito con passione da Laura Morselli. Qui, tra le pareti che già respirano di storie e di vita, le fotografie troveranno una voce, l’ennesima, che tenta di trasmettere il divario ancora troppo presente tra donne e uomini nella società odierna. Gli scatti esposti, infatti, non sono solo immagini, ma testimonianze concrete di una realtà spesso ignorata o minimizzata. “Invivavoce” è stata e sarà un’occasione per far sentire queste voci, per dare visibilità a un problema sociale che richiede l’attenzione di tutti. E Laura, dal canto suo, ha deciso di catalizzare quelle storie ed esporle.

Morselli, come mai la scelta di regalare il suo spazio a questa mostra?
«Il mio locale, per antonomasia, è un luogo che accoglie tutto ciò che di femminile ci può essere. Si chiama infatti “Artemisia”, e prende il nome dalla nota artista Artemisia Gentileschi, personaggio storico pregno di forza e coraggio. Era una donna che si affermò nel mondo dell’arte verso la fine del ‘600, quando ancora alle donne non era concesso prendere un pennello in mano. A segnarla, a diciassette anni, sarà uno stupro. Da quel momento, tutta la sua rabbia verrà riposta nella pittura, che sarà strumento di protesta e propaganda femminista».

Incredibile come noi donne, nel 2024, ci ritroviamo a dover vivere le stesse dinamiche che c’erano nel 1600…
«Non ne parliamo. Dopo anni che lavoravo come odontotecnica, ho lasciato il lavoro. Gli uomini con cui lavoravo non accettassero che io fossi più competente di loro solo perché ero donna. Se sei donna, nel panorama occidentale, è necessario che tu ti possa affermare, ma stando sempre un gradino più in basso rispetto agli uomini. Io non ci stavo. E non ci sto nemmeno adesso. Ed è proprio per questo che ho deciso di ospitare questa mostra nel mio locale, perché credo che “Invivavoce” possa davvero essere un progetto formativo e importante».

Cosa le ha fatto riporre fiducia in “InvivaVoce”?
«Perché ho avuto la prova concreta, sotto mano, che questa iniziativa funziona davvero. Mio figlio di 15 anni ha assistito il 12 marzo allo spettacolo con la scuola. Quando è tornato a casa era veramente scosso. Era stupito che esistessero realmente delle mancanze di rispetto di questo genere: lui, con tutta la sua ingenuità, non credeva proprio che esistessero, in poche parole. Dopo la sua reazione ho capito e compreso quanta ignoranza c’è ancora su questo tema. Bisognava intervenire e ho voluto farlo per prima. In viva voce, sempre».