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I conti delle famiglie

Modena, l’inflazione si mangia i redditi: in un anno persa una mensilità

Marco Costanzini
Modena, l’inflazione si mangia i redditi: in un anno persa una mensilità

L’indagine di Federconsumatori, Cgil e Caaf Cgil eloquente: «È un crollo»

03 maggio 2024
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«Aumenta tutto, tranne lo stipendio». L’amara considerazione ripetuta più volte dai lavoratori italiani, di fronte alla crescita dell’inflazione e ai costanti rincari su bollette, carburante e carrello della spesa, è un dato di fatto. E Modena non fa eccezione, anzi.

A certificare che proprio così stanno le cose è la terza indagine sul reddito da lavoro dipendente dei modenesi, condotta da Federconsumatori, Cgil Modena e Caaf Cgil Emilia Romagna-Modena e provincia. Con una parola eloquente, «crollo», viene descritta la situazione sul territorio dopo l’analisi delle dichiarazioni dei redditi presentate nel 2023 (relative al 2022) e ampliando lo studio al periodo 2016-22: 18.653,40 euro è infatti il reddito medio dei modenesi, stabile rispetto al 2016, mentre le spese lievitano.

Un campione più che attendibile, trattandosi di ben 291mila certificazioni uniche, che ha portato il presidente di Federconsumatori Marzio Govoni e il segretario generale della Cgil Modena Daniele Dieci a rivolgere un appello: «Forze politiche, amministratori locali e candidati sindaci studino questi dati e li analizzino, rimettendo al centro dell’agenda un tema che sembra dimenticato». Aggiungendo che «la narrazione di una Modena ricca è smentita dai dati, che ci parlano chiaramente di un territorio con disuguaglianze fortissime in aumento».

I redditi erosi Nello studio, curato dal ricercatore Massimiliano Vigarani, si evidenzia una perdita di potere d’acquisto dei salari che nell’arco di un solo anno, in provincia di Modena, ha raggiunto mediamente l’8.1% a fronte di un’inflazione che ha toccato l’8,3%. Uno stipendio mensile, di fatto, se l’è mangiato l’inflazione: «Un arretramento che non ha eguali nella storia del nostro Paese dal dopoguerra», la sentenza dei relatori. La perdita di valore raggiunge il 12,3% (quasi due retribuzioni) se si esaminano i dati a partire dal 2016.

La questione di genere Se il reddito medio degli uomini è di 21.550 euro, quello delle donne si ferma a 15.626 euro, il 27,5% in meno. Effetto causato dalla maggior presenza delle donne nei settori poveri, ad elevata irregolarità, e in quelle aree come commercio e turismo dove la maggior parte dei contratti è part-time, in grandissima parte involontari. C’è un dato eloquente: nelle dichiarazioni superiori a 50mila euro solo il 16% sono quelle prodotte da donne.

La questione anagrafica Se nel settore manifatturiero, a maggior presenza maschile, gli under 35 hanno perso nel periodo 2016-2022 “solo” il 4,8% del salario, per quel che riguarda gli addetti under 35 del settore commercio si sale al -16%, fino al -27% del settore ristorazione, alberghi e pubblici esercizi; un settore grande, con forte presenza di giovani, ma sempre più devastato dal lavoro irregolare, nelle sue molteplici forme. Tra gli under 25 il 65% è a tempo determinato, dato altissimo anche nella fascia 25-34 (44%).

La questione territoriale Nel crollo dei redditi del 2022 può sorprendere il dato della città di Modena, dove è fortissimo l’arretramento del valore reale dei redditi (-10%). Dopo la buona performance dell’anno precedente, trainata dal biomedicale, arretra pesantemente (-9,4%) anche il reddito dei lavoratori dell’Area nord. La zona di Mirandola torna così alla pari con l’area collinare-montana, mentre Carpi, caratterizzata da tempo dal forte decadimento dell’economia manifatturiera, riduce sempre di più il differenziale di reddito con le due aree estreme della provincia. In questi territori, più quello di Castelfranco, si registra anche un calo dei redditi nominali.

La crisi delle famiglie L’arretramento del potere d’acquisto dei redditi da lavoro incide anche su alcune tipologie di famiglie. Un calo che per la fascia più debole si è trasformato in incertezza nel futuro, denatalità, esistenze troppo a lungo precarie, ma anche in scelte di riduzione dei consumi e rinuncia a cure. Continua ad avanzare il confine della povertà, arrivando ad inglobare famiglie a doppio reddito, ma troppo modesto per sostenere i maggiori costi di mutui, affitti, energia e spesa alimentare.