Gazzetta di Modena

Il padre di Saman contro il fratello Danish: «Perché non dice la verità? Lui sa tutto...»

Elisa Pederzoli
Il padre di Saman contro il fratello Danish: «Perché non dice la verità? Lui sa tutto...»

L’uomo dal carcere ha rilasciato nuove dichiarazioni spontanee. «Quella notte è andato con i cugini». Ribadisce di non sapere chi è stato a ucciderla, ma di sospettarli: «Voglio giustizia»

12 maggio 2024
3 MINUTI DI LETTURA





Novellara Punta il dito contro il fratello Danish Hasnain, Shabbar Abbas, nelle sue dichiarazioni spontanee rilasciate al procuratore capo di Reggio Emilia, Gaetano Calogero Paci, da dentro il carcere di Modena dove è rinchiuso. «Perché non dice la verità, Danish? Lui sa tutto...», ha detto il 19 aprile scorso, quando è stato sentito alla presenza degli avvocati difensori Enrico Della Capanna e Simone Servillo. Dichiarazioni che sono confluite in un nuovo fascicolo di indagine, modello 45, tecnicamente dunque senza notizia di reato.

Shabbar Abbas ha deciso di proseguire quel racconto iniziato nell’ultima udienza del processo per l’omicidio della figlia Saman Abbas, uccisa il 1° maggio del 2021. La sentenza, pronunciata il 19 dicembre scorso, ha condannato lui e la moglie Nazia Shaheen all’ergastolo; Danish Hasnain a 14 anni; e ha assolti i cugini Nomanulhaq Nomanulhaq e Ikram Ijaz.

Shabbar Abbas non retrocedere rispetto alle accuse. «Non ho mai pensato di uccidere mia figlia, mi fa molto male quando sento alla televisione i giornalisti che parlano che due pakistani, moglie e marito, hanno ammazzato la figlia». Difende a spada tratta anche Nazia, ma tira in ballo i nipoti usciti assolti dal processo.
 

Il cuore della sua deposizione riguarda la sera del 30 aprile 2021, quelle ultime immagini di Saman in vita, accompagna da lui e dalla moglie lungo la carraia. Per Shabbar, Saman era attesa dal fidanzato Saqib e forse da una ragazza, dice, per andarsene. Quel fidanzato che nessuno voleva, che condivideva sui social le foto di lui e Saman disonorando tutta la sua famiglia. Dice di aver chiamato Danish quella sera per far dare una lezione al fidanzato della figlia, «per spaventarlo». «Lui mi ha detto: andiamo tutti e tre – ha rivelato –. Quando ho sentito dal Pakistan che loro sono scappati tutti, allora ho capito che sono stati tutti e tre». Dice di non averli visti quella notte, né di aver saputo in seguito cosa si accaduto – sostiene di aver saputo che la figlia fosse morta solo il 3 maggio, quando era in Pakistan – ma di essere convinto che quella notte c’erano tutti.

Rivela che lo zio e i cugini di Saman, così come altri parenti, erano arrabbiati con Saqib per quelle foto pubblicate sui social. Di essere convinto che «loro non abbiano mai pensato di uccidere». Che i rapporti tra la figlia e i tre erano buoni, giocavano insieme, le davano i soldi per il gelato e che dunque neanche lei li temeva. Quindi, si dice convinto che sia capitato qualcosa quella notte. «Sospetta tutti e tre, però non può dire chi più o chi meno, perché non ha visto chi l’ha uccisa» traduce per lui l’interprete.

Perché allora non ha fatto niente? Non l’ha detto? Dice di essere stato minacciato dai parenti di Ikram, tira in ballo uno zio pericoloso che sta in Spagna, che avrebbe «mandato delle persone per picchiarlo in Pakistan» se avesse accusato il parente. E di aver taciuto allora perché il figlio Alì era in Italia. «Ho pensato a salvare mio figlio» sostiene.

Shabbar si avventura anche in ragionamenti sulla fossa scavata nella terra in cui Saman è stata trovata cadavere. Parla di due badili, e quindi che non possa essere stato solo Danish a scavarla. Ricordiamo che la sentenza ha ritenuto il filmato in cui zio e cugini si allontanano con gli attrezzi non provante, come sosteneva l’accusa, che andassero a scavare la fossa. Tanto che i due sono stati assolti e la premeditazione negata.

Chiede, infine, al procuratore Paci: «Per favore, fate giustizia». E ribadisce con queste parole perché ora ha detto le cose che ha detto: «Voglio cercare una giustizia per la mia povera figlia».