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L'intervista

Nicola Rizzoli si racconta: «Da Baggio agli ultras del Messina, così ho arbitrato in tutto il mondo»

di Manuel Marinelli
Nicola Rizzoli si racconta: «Da Baggio agli ultras del Messina, così ho arbitrato in tutto il mondo»

L'ex arbitro della sezione di Bologna è stato uno dei tre italiani a dirigere una finale dei Mondiali: «Mirandola e la Bassa mi hanno insegnato molto»

25 maggio 2024
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MIRANDOLA. Nella storia del calcio, solo tre arbitri italiani hanno diretto la finale di un Campionato del mondo. Sergio Gonnella, Pierluigi Collina e il mirandolese Nicola Rizzoli, appartenente alla sezione Aia di Bologna. Classe 1971, più volte insignito del titolo di “Miglior arbitro del mondo” (2014 e 2015) Rizzoli è protagonista oggi, sabato 25 maggio, al Memoria Festival di Mirandola.

Rizzoli, da architetto ad arbitro. Si aspettava di fare questo nella vita?

«No, non me lo aspettavo. Decisi di fare l’architetto a 13 anni, per diversi motivi. Mi piaceva disegnare, poi l’odore della carta che si respirava nelle cartolerie. Mi conquistò e mi spinse a intraprendere questa strada».

E il rettangolo verde quando è arrivato?

«Ho deciso di fare l’arbitro quando ero calciatore, perché litigavo con gli arbitri per ignoranza, non conoscevo le regole. Un mio amico mi disse “invece che contestare il niente vai a studiare il regolamento”. Mi sono fatto tutta la trafila, Esordienti, Giovanissimi e via dicendo. Non ne ho salta una. Avevo la possibilità di andare in uno studio a Milano, ho procrastinato per vedere cosa succedeva. E sono passato in Serie A. Ho continuato a fare l’architetto fino al 2012, quando ho iniziato a fare incontri internazionali ho smesso».

Ha mai avuto qualche ripensamento?

«No, ma sono stato fortunato. Anche se credo che la fortuna vada cercata. Ho avuto una bella carriera, con la possibilità di vedere il passo successivo alla portata. Una volta avevo una partita di Serie D in Calabria, mi svegliai prestissimo per prendere l’areo. L’incontro fu un disastro, persi l’areo e mi ritrovai solo. Lì mi sono chiesto “cosa ci faccio qui?”. Ma la voglia di andare avanti era più forte».

Con Mirandola che rapporto ha?

«Nella zona della Bassa modenese ho tutti i parenti. Qui in campagna è racchiusa la mia infanzia. Ho appreso certi valori, come l’amore per gli animali e la manualità. Vivendo in città mi accorgo come ai miei figli un po’ manchi questa dimensione».

Ricorda un giocatore in particolare con cui era difficile avere a che fare?

«Mi ricordo di più quelli con cui ho avuto un bel rapporto. Ricordo con affetto Baggio, Ronaldo “Il fenomeno”, Totti, Nesta, Maldini, Zanetti, Ibrahimovic. Con loro c’è un rapporto, alla fine sono quelli che hanno fatto la storia, trasmettendo qualcosa anche oltre il campo».

Il ricordo più bello?

«Uno dei più forti riguarda un Messina-Catania, avevo 26 anni ero giovane e inesperto. Era una partita tesa, si giocavano la promozione in Serie B. Tra primo e secondo tempo ci fu un’invasione di campo, non si poteva giocare. Allora chiamai il responsabile dell’ordine pubblico e chiesi di parlare con il capo ultras del Messina. Venne questo “armadio” enorme, non riuscivo a guardarlo in faccia. Gli dissi: “Decidi tu, se mi dici che riesci a tranquillizzare la situazione bene, altrimenti sospendo e finiamo qua. Lui mi guardò come fossi pazzo. Mi rispose che avrebbe calmato tutti a patto di poter rimanere in campo. Accettai e tutto finì regolarmente. Alla fine, il presidente Messina venne a farmi i complimenti nonostante la sconfitta. Mi diede molta forza».

Torniamo al presente: in Inghilterra stanno valutando di togliere la Var. Cosa ne pensa?

«Penso la questione non sia solo tecnica ma anche culturale. La Var riduce gli errori dal 5/7 per cento all’1 per cento in tutte le federazioni. Quindi non è più una scelta tecnica, dipende cosa piace di più. Culturalmente c’è chi accetta di più l’errore umano dell’arbitro che quello della tecnologia. Quale sia la scelta migliore non sta a me dirlo. Di certo, arrivare a zero errori è impossibile, a meno che non cambiamo sport».