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Il caso

Carpi, viene licenziata da Gaudì: il giudice la reintegra

Serena Arbizzi
Carpi, viene licenziata da Gaudì: il giudice la reintegra<br type="_moz" />

L’azienda dovrà pagarle anche i contributi: «Prendiamo atto»

19 aprile 2024
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CARPI. Era stata licenziata perché, secondo l’azienda, era stata soppressa la mansione che svolgeva. Tuttavia, il tribunale del lavoro ha stabilito il reintegro della lavoratrice annullando la decisione della società e stabilendo che deve pagare, tra le altre spese, i «contributi previdenziali e assistenziali dal giorno di licenziamento fino a quello della effettiva reintegrazione».

IL CASO
Il caso vede protagonista una lavoratrice carpigiana, assistita dall’avvocata Gabriella Cassibba e addetta dell’impresa di abbigliamento Gaudì trade Spa. Le motivazioni poste alla base del licenziamento della lavoratrice, iscritta alla Cgil, secondo la società, erano state individuate nella soppressione della mansione di addetta al magazzino, dovuta all’esternalizzazione di questo servizio.
In altre parole, questo compito era stato affidato a una società esterna. La dipendente non aveva dato disponibilità a farsi assumere dalla società esterna, che aveva preso il posto di un’altra impresa oggi fallita, e la Gaudì spa ha deciso di licenziarla, affermando che non vi fossero altri ruoli all’interno dell’azienda per la lavoratrice, che aveva oltre tredici anni di anzianità di servizio.

IL GIUDICE
Il giudice Andrea Marangoni, invece, ha annullato il licenziamento affermando che, pur sussistendo il motivo oggettivo consistente nella «riorganizzazione del lavoro» è emersa in giudizio «l’insussistenza del fatto posto alla base del licenziamento» perché la lavoratrice, contrariamente da quanto affermato dalla società, poteva essere adibita ad un’altra mansione che, nella realtà dei fatti, svolgeva in parte.
La dipendente, infatti, contrariamente da quanto scritto nella lettera di licenziamento, lavorava anche allo spaccio della Gaudì spa, così come altre dipendenti. Secondo la società non avrebbe potuto, comunque, lavorare allo spaccio perché non era in grado di svolgere il lavoro alla cassa, trattandosi di un lavoro che prevedeva l'uso di un programma molto complicato da imparare. Ma così non era.
Come scritto dal giudice la dipendente «avrebbe potuto anche essere inserita nelle turnazioni alla cassa dopo un giorno di lavoro in affiancamento, attività che, si ritiene, non avrebbe costituito un onere gravoso o costoso per il datore di lavoro».

GAUDI' PRENDE ATTO
Pertanto, la società avrebbe dovuto assolvere all'onere di insegnare alla dipendente il lavoro di cassiera, trattandosi di una formazione che, come emerso in giudizio e com’è possibile leggere nella sentenza firmata dal giudice Marangoni, in termini di costi non sarebbe risultata né gravosa, né costosa per l'azienda. «Sulla base dell’istruttoria condotta – si legge – per poter utilizzare la ricorrente appieno presso lo spaccio, e dunque» anche per l’attività di cassa «sarebbe bastata una esigua formazione on the job (sul lavoro, ndr), dai costi presumibilmente inesistenti o estremamente contenuti». Quindi, il giudice ha annullato il licenziamento reintegrando la lavoratrice ed applicando la tutela più forte prevista dall’articolo 18 dello statuto dei lavoratori, la tutela della reintegra. Dall’azienda, interpellata dalla Gazzetta, fanno sapere che «si tratta di una decisione presa per giustificato motivo per la decisione di esternalizzare il magazzino. Prendiamo atto di quanto ha stabilito il giudice».