Ferrara, parlano gli imputati dell'omicidio Big Town. Il barista: «Non volevo uccidere»
Mauro Di Gaetano e il padre Giuseppe rispondono alle domande di pm e difese. L’anziano: «Nella mia mente dovevo difendere mio figlio che era in pericolo»
Ferrara «Il fatto di non ricordare è un tormento. Sono convinto che non ero in me, se fosse stato in me non lo avrei mai fatto, né con Buzzi né con nessun altro». Vito Mauro Di Gaetano ritorna più volte su questo concetto nel ripercorrere il massacro del Big Town, l’omicidio di Davide Buzzi avvenuto nel bar da lui gestito in via Bologna, la notte del 1º settembre 2023.
Più si avvicina ai 38 colpi di lucchetto inferti al cranio di Buzzi, più Vito Mauro fa fatica a parlare nel rendere l’esame davanti alla Corte d’assise, riunita di nuovo ieri per una delle udienze più importanti del processo. È un processo anche di sensazioni. Si commuove, poggia la testa al microfono, prende della pause, ripete che non aveva nessuna intenzione di uccidere, che è tormentato dalla domande, dai “se”. «Lo so, l’ho visto, ma non lo ricordo», dice a un certo punto, rispondendo alle domande della pm Barbara Cavallo, che cerca di scavare nei suoi ricordi, di riallacciare i fili delle sua memoria, sottolineando più volte quelle che appaiono come discrasie tra le spiegazioni di oggi e quelle di ieri, tra memoria e video e intercettazioni in carcere, dove lui e il padre sembrano entrambi più coscienti di quel che hanno fatto. In una si sente l’anziano dire: «Li abbiamo incastrati nell’angolo, su due fronti, non sapevano dove andare».
Il barista (difeso dall’avvocato Michele Ciaccia) è accusato con il padre di omicidio aggravato dalla crudeltà (e del tentato omicidio di Lorenzo Piccinini, il giovane che accompagnò Buzzi nel blitz al Big Town).
Parla dello stato di tensione e paura nel quale si trovava già da dopo un tentativo di estorsione ricevuto il 25 agosto da parte di Buzzi, e poi incrementato dalle dimissioni di tutti i suoi dipendenti, intimoriti. E poi del panico quando Buzzi e Piccinini si sono presentati nel locale, hanno picchiato il padre e poggiato una tanica di gasolio sul bancone minacciando di dar fuoco a tutto. «Sono rimasto shockato quando hanno picchiato mio padre, non avevo mai visto una violenza tale – spiega –. Poi Buzzi è tornato al bancone, ha preso la tanica e ha fatto per aprirla. Ero pietrificato dalla paura». Non sapeva che il padre aveva un coltello con sé, non lo ha visto mentre colpiva Piccinini al petto e poco più tardi Buzzi alla gola, alla testa e poi ancora Piccinini. Ricorda di aver chiamato il 118, di aver fatto prima chiamare da un amico il 112, di aver premuto il pulsante d’allarme da poco installato, di aver cercato di mediare in attesa dell’arrivo dei soccorsi. Spiega anche perché, a un certo punto della sera, la telecamera del bar lo riprende che conversa con dei clienti mentre tiene dietro la schiena il lucchetto: «Se mi avesse aggredito glielo avrei tirato contro e sarei scappato». Non è andata così. Il suo ultimo ricordo dentro al bar è di lui che lancia qualche bottiglia all’indirizzo di Buzzi dopo che questo lo ha colpito al volto e gli ha fatto cadere gli occhiali: «Avevo il cuore che batteva fortissimo, l’affanno, mi si sono tappate le orecchie». Poi il buio: «Il ricordo successivo è di essere uscito dal bar e di essermi sentito svuotato, confuso».
Il padre Giuseppe prima di rispondere alle domande legge una memoria di nove pagine, preparata con l’aiuto degli avvocati Stefano Scafidi e Giulia Zerpelloni. «In quegli attimi non ero lucido, vedevo il pericolo e reagivo di conseguenza» dice. E ancora: «Il mio obiettivo era allontanare Piccinini dal bar, da Mauro, dalla tanica di benzina. Nella mia mente dovevo difendere mio figlio, che era in pericolo». I colpi di coltello al petto del ragazzo e alla gola e alla testa di Buzzi? «Non miravo a nessuna parte, allungavo il braccio, è stata una casualità». Non sempre le sue risposte sembrano aver convinto la pubblica ministera, soprattutto sulle fasi quando i due “invasori” sembravano ormai essere stati clamorosamente sopraffatti.
Daniele Oppo
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