Il sondaggio: un italiano su due favorevole al nucleare
Per la maggior parte dei giovani è un grande “sì”
MODENA. L’Italia non produce energia nucleare da due decenni, ma negli ultimi tempi l’attenzione sul tema sembra essersi ridestata, contrassegnata dagli immancabili sondaggi. Secondo una recente indagine realizzata da Swg per IWeek, i favorevoli, in linea di massima, all’utilizzo in Italia delle nuove tecnologie nucleari oscillano tra il 49 e il 55 per cento, con un favore dei giovani di 16 punti superiore a quello degli over 55 (63 contro 47 per cento). Al contempo però, solo un italiano su quattro si sente adeguatamente informato rispetto a questo tema.
I “temi caldi”
Resta indiscusso il fatto che, quando si parla di energia nucleare si accende sempre il fuoco del dibattito, in particolar modo per quanto riguarda la pericolosità degli impianti o lo smaltimento del combustibile esausto. Le parole reattore, scorie, radioattività, uranio… suscitano sempre scalpore tra coloro che, avendo vissuto gli anni di paura dopo Chernobyl o essendo informati a riguardo, sono per la totale abolizione e coloro che si ritengono maggiormente informati sugli ultimi sviluppi di questo settore. Lasciando da parte il dibattito sulla sicurezza e la complessità delle tecnologie prese in esame ripercorriamo le tappe storiche.
Il dibattito
L’Italia del secondo dopoguerra esprime una forte volontà di sviluppo in ambito sociale ma anche scientifico. In tale clima infatti venne fondato a Milano il CISE (Centro Informazioni Studi ed Esperienze) con un obiettivo chiaro: sviluppare un programma nucleare competitivo e che rispondesse, almeno in parte, al fabbisogno energetico di un paese che si stava rialzando dopo la guerra.
A frenare l’entusiasmo del paese c’è però l’Atomic Energy Act, promulgato dagli Stati Uniti nel 1946 a scopo di limitare l’accesso alle tecnologie di arricchimento del combustibile radioattivo ai paesi che furono loro nemici durante la guerra. Inoltre, nel 1948, fu avviato il Piano Marshall per la ripresa europea, con il quale gli Stati Uniti destinarono 14 miliardi di dollari a sostegno dello sviluppo della martoriata Europa dopo la seconda guerra mondiale. Il Piano consentì all’industria italiana di ristabilirsi, ma gli Stati Uniti finanziarono fonti di approvvigionamento energetico legate al settore petrolifero, in modo da legare l’Italia ai propri mercati di esportazione.
L’accelerazione
Nonostante ciò lo sviluppo nucleare italiano non si fermò, soprattutto grazie all’Agip di Enrico Mattei e alla fondazione nel 1952 del Comitato nazionale per le ricerche nucleari. Nello stesso anno vennero individuati anche giacimenti di Uranio nel nord Italia, in corrispondenza della provincia di Bergamo. A questo punto Italia e Stati Uniti iniziarono una serie di trattative volte all’implementazione di un programma nucleare italiano. In particolare gli Stati Uniti accettarono di formare il personale tecnico, a patto che i minerali estratti in Italia alimentassero unicamente l’industria del paese.
Nel 1955 vennero conclusi gli accordi, la collaborazione però rimase limitata per iniziativa, ancora una volta, di Enrico Mattei che preferì orientare l’industria nucleare italiana verso l’Uranio naturale come combustibile, in modo da essere indipendenti dall’industria di arricchimento statunitense.
Tre centrali negli anni Sessanta
Finalmente, negli anni 60, lo Stato italiano fece costruire tre centrali nucleari: a Latina, Sessa Aurunca e Trino. Ognuna di esse era dotata di un reattore di tipo diverso, tutti di provenienza anglo sassone. I reattori erano prototipi di avanguardia in campo nucleare e il reattore di Trino, al momento della sua installazione nel 1964, era il più potente al mondo. Grazie alle tre centrali, l’Italia nel 1966 era il terzo paese per produzione di energia atomica dopo Stati Uniti e Gran Bretagna. Cavalcando l’onda dell'entusiasmo per la nuova fonte di energia, furono avviati i preparativi per la costruzione della centrale di Caorso, nonostante l’energia nucleare rispondesse solo al 3-4% annuo del fabbisogno energetico.
La spinta nucleare rallentò a seguito della scelta governativa di investire sullo stoccaggio di petrolio in territorio italiano. Questa industria aveva come sottoprodotto l’olio combustibile, che fu utilizzato per produrre il gran parte dell’ammontare energetico annuo, raggiungendo un picco del 59% nel 1973. Nel medesimo anno si verificò però la crisi petrolifera e ancora una volta si ebbe la necessità di investire sul nucleare come fonte di energia non fossile.
Nel 1975 fu abrogato l’ambizioso Piano energetico nazionale che avrebbe permesso la costruzione di dieci nuove centrali nucleari sul territorio italiano.
Siamo sempre negli anni ’70 quando si iniziarono ad avere i primi dubbi sulla sicurezza dell’energia nucleare, in particolar modo dopo l’incidente di Three Mile Island del 1979.
La preoccupazione aumentò anche in Italia, tanto che furono svolte perizie sismiche nei territori campani e si arrivò alla certezza che la zona di Sessa Aurunca era sismicamente inadatta ad ospitare l’impianto nucleare, che nel 1982 fu spento definitivamente.
Lo stato attuale
Ad oggi in Italia non vi sono centrali nucleari funzionanti; l’ultima è stata chiusa nel 1990. Questa decisione fu presa a seguito del disastro di Chernobyl nel 1986 e dei referendum abrogativi legati ad alcune politiche sul nucleare del 1987. L'Italia rinunciò così al nucleare per quasi due decenni accumulando un ritardo rispetto ad altri paesi europei come Francia, Germania e Regno Unito. Nel 2010 vi fu un tentativo di investire nuovamente nel nucleare che fallì a seguito di un secondo referendum in cui il 94% dei votanti si espresse contrario alla produzione di energia nucleare sul suolo italiano. Il dibattito riguardante l’uso di questa fonte è ripreso a seguito dell’invasione russa dell’Ucraina e della conseguente crisi energetica, quando molti paesi europei hanno dovuto trovare un’alternativa al gas proveniente dalla Russia. L’opinione pubblica italiana, soprattutto i più giovani, si è dimostrata maggiormente disponibile all’impiego di centrali nucleari. Un aumento di consenso dovuto anche al progresso tecnologico nel settore che prevede livelli di sicurezza ancora più elevati nelle nuove centrali di quarta generazione in fase di sviluppo o progettazione. Tuttavia l’investimento nel nucleare come risposta rapida alla crisi energetica è stato criticato per via di alcuni limiti tecnici: i nuovi reattori infatti sono ancora in fase sperimentale e si prevede che entreranno in funzione solamente dopo il 2030. Vi sono poi altri che, guardando alla Germania, la cui ultima centrale nucleare è stata disattivata nel 2023, affermano che sia troppo tardi per investire in questo settore. Nel frattempo il ministro dell’ambiente ha annunciato, proprio in questi giorni, che prossimamente sarà presentata una legge mirata a definire il quadro giuridico per un possibile ritorno alla produzione di energia nucleare.
*studenti del liceo Corni, classe 5A