L’arte diventa memoria con la mostra di Taysir Batniji: «Porto a Modena la mia Palestina»
L’artista di Gaza espone le sue opere in città: «La “chiave di casa” per noi è un potente simbolo identitario»
MODENA. «Nel corso degli anni, la “chiave di casa” è diventata un potente simbolo identitario per il popolo palestinese, quasi ogni famiglia conserva ancora la chiave della propria abitazione perduta, un oggetto semplice ma capace di racchiudere memoria, trauma e speranza di ritorno». Queste sono le parole dell’artista palestinese Taysir Batniji durante la conferenza stampa della sua mostra “Abitare il tempo” presso la Palazzina dei Giardini Ducali di Modena il 19 novembre organizzata da Fondazione Ago, insieme a Comune di Modena, Unimore e Fondazione di Modena, a cura di Daniele De Luigi.
L’artista palestinese
Taysir Batniji è nato a Gaza nel 1966, poco prima della guerra dei Sei giorni. Nel suo intervento ha ricordato subito il legame profondo con l’Italia, e in particolare con Napoli, città che lo ha accolto dopo l’emigrazione dalla Palestina. Dopo il diploma in arte all’università di Nablus, ha ottenuto una borsa di studio dal consolato francese e si è trasferito in Francia, dove risiede attualmente, per studiare all’accademia delle Belle arti di Bourges. Taysir ha rimarcato poi il suo legame con la terra madre e di come la sua lontananza da essa lo abbia segnato nella determinazione di sé e della sua arte. Quando gli abbiamo chiesto se la sua arte è stata condizionata dalla guerra ci ha detto: «Non vorrei parlarne tanto, ma è vero, i miei lavori, come è stato già detto, sono molto legati alla mia storia, la storia della Palestina, l'attualità e tutto quello che succede». Nel suo lavoro, infatti, vita e arte sono profondamente intrecciate: la sua esperienza personale, segnata dal conflitto, dal colonialismo, da tante vittime tra familiari e amici, e negli ultimi anni anche dalla devastazione nella Striscia di Gaza, costituisce la sostanza stessa della sua pratica artistica. Il suo percorso è iniziato come pittore, ma si è progressivamente ampliato verso forme visive che interrogano lo spettatore, toccano l’emotività e generano domande. Egli è un artista che attraverso le sue opere dà frutto a quella che è la sua persona, utilizzando diversi media come la fotografia, il disegno, i video, la pittura, la scultura e l’installazione. La sua arte è influenzata fortemente dal minimalismo e dal movimento astrattista contemporaneo e non ha lo scopo di esercitare un ruolo politico, ma aspira a una dimensione artistica universale. Per Batniji «un modo per rispondere all’impossibilità di abitare lo spazio, è quello di abitare il tempo, dando forma ad una dimensione in cui il presente, il passato ed il futuro possano coesistere». La mostra rappresenta un momento significativo del suo percorso umano e artistico: «Un’occasione per confrontarsi con la propria identità palestinese e con la dimensione universale dell’esperienza umana», afferma l’artista.
Le opere
Le sue opere oscillano costantemente tra “intimo e pubblico”, tra “storia personale e storia collettiva” tra “materialità e fragilità”, tra “visibile e invisibile”, mondi opposti che nella sua arte convivono armoniosamente. Tra le opere più significative presenti in mostra vi è l’incisione dell’Articolo 13 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani realizzata su saponette di Marsiglia. La scelta del sapone non è casuale: «Oltre a richiamare il tema del diritto alla libertà di movimento, la mia idea porta con sé anche il concetto di “lavarsene le mani”, un’allusione al modo in cui una parte della comunità internazionale sceglie di distogliere lo sguardo da ciò che accade in Palestina».
Un altro nucleo centrale dell’esposizione è costituito da una raccolta di fotografie di chiavi di casa che sono appartenute a persone costrette all’esilio dopo la tragedia della Nakba, la “catastrofe” dell’esilio. A questo tema si collega anche una riproduzione in cristallo delle chiavi della casa della famiglia Batniji, un’opera senza titolo utilizzata per rappresentare la mostra. «La scelta del cristallo – fragile, trasparente e prezioso – conclude l’artista – evoca la mia impossibilità di utilizzare quelle chiavi, sospese tra desiderio di ritorno e distanza forzata». L’opera diventa così una metafora potente: il cristallo preserva la forma delle chiavi, ma le rende inutilizzabili, proprio come la condizione dell’artista, che vive lontano da una casa a cui non può più accedere.
Le info sulla mostra
La mostra si può visitare fino al 15 febbraio dal mercoledì al venerdì dalle 11 alle 13 e dalle 16 alle 19; al sabato, alla domenica e nei festivi dalle 11 alle 19. Ingresso 10 euro (ridotto 5 euro), con agevolazione per i residenti in provincia di Modena (7 euro). Biglietto ridotto a 5 euro per chi ha il biglietto del Museo della Figurina, con mostra di Paolo Ventura. Ingresso libero per tutti ogni prima domenica del mese; per i residenti anche ogni mercoledì. Al sabato, alle 16, visite guidate su prenotazione, senza costi aggiuntivi.
studenti del liceo Sigonio, classe 3G
