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Giovani senza scuola e senza lavoro, l’esperta: «Vi spiego il fenomeno Neet»

di Yaxuan Qiu, Greta Toscano e Ambra Violi
Giovani senza scuola e senza lavoro, l’esperta: «Vi spiego il fenomeno Neet»

La professoressa Antonella Serafini del liceo Sigonio: «Tra i 15 e i 29 anni un giovane su dieci è “disimpegnato”»

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MODENA. Negli ultimi anni il fenomeno dei NEET (Not in Education, Employment or Training), ovvero i giovani che rientrano in una fascia di età che va dai 15 ai 29 anni in una condizione di disimpegno scolastico e lavorativo, ha avuto un impatto significativo richiedendo un intervento urgente per evitarne l’aumento.

Tuttavia dati più recenti dimostrano un segnale positivo: in Emilia Romagna la percentuale di ragazzi che rientrano in questa categoria è scesa dall’11% al 10% nel 2024, segnalando un miglioramento legato soprattutto alla fine della pandemia Covid. La professoressa Antonella Serafini del Liceo Carlo Sigonio si è espressa su questo fenomeno proponendo un punto di vista sociologico.

Professoressa, innanzitutto le chiediamo una definizione di NEET.
«È un fenomeno che nasce in America e che rappresenta i ragazzi che sono in una condizione di generazione disimpegnata, perché non hanno ancora trovato un ambito adeguato, sia dal punto scolastico e universitario, sia lavorativo. Una classe di ragazzi che si estende in una fascia di età tra i 15 e i 29 anni, anche se oggi siamo arrivati quasi ai 34 anni di età. Devo dire che a differenza di altri ambiti, l'Emilia Romagna e Modena, dal 2023 vede una quota di NEET intorno all'11%, con più o meno 69 mila giovani a essere etichettati NEET. Nel 2024, quindi gli ultimi dati che abbiamo a disposizione, scendono intorno al 10%. Questo vuol dire che intanto la provincia di Modena, monitora tutti quelli che sono i report che riguardano questo fenomeno. Dunque il NEET è un fenomeno statico ma è anche una categoria sociologica da studiare».

Secondo lei quanto ha influito la pandemia Covid-19 sui NEET?
«Sicuramente tanto, con un'accelerazione nel momento in cui siamo stati in pandemia e una decelerazione adesso, per fortuna. Perché in quel momento, nell'ambito del Covid, i tirocini erano chiusi, erano bloccati tutti i canali per i quali i ragazzi avrebbero potuto avviarsi per il loro lavoro, la loro formazione».

Quali sono, secondo lei, le cause principali che portano i giovani a diventare NEET nel nostro territorio?
«Allora, le cause intanto sono complesse e talvolta intrecciate tra loro. Per esempio la transizione scuola lavoro non sempre efficace perché le competenze dei ragazzi non sempre coincidono con quello che le imprese cercano. A volte ci sono anche difficoltà familiari o personali come disuguaglianze di genere e territoriali. Un altro problema importante è l’abbandono scolastico e il fatto che molti giovani non riescono ad avere una formazione continua, infatti ci tengo a mettere in luce il pensiero di Don Milani che accoglieva i giovani con dignità nella scuola. I NEET sono quindi quelli che lui avrebbe definito “emarginati”, ovviamente non in senso assoluto ma “ai margini della società", la quale non è stata in grado di coinvolgerli. In Italia c’è anche il cosiddetto fenomeno del “degiovanimento” cioè che ci sono meno giovani e di conseguenza quelli che rimangono fanno più fatica ad inserirsi e ad avere opportunità».

E condizioni psicologiche come la depressione o la demotivazione possono essere una delle cause?
«Purtroppo incidono perché i ragazzi sono sempre più fragili. Hanno bisogno di essere ascoltati, in modo attivo, vivace, dove si prova ad entrare empaticamente in loro e capire qual è il loro problema, il loro disagio. Il compito di noi educatori è quello di far sì che questa fragilità si capovolga e diventi la loro forza, dove anche quello che è in difficoltà perché è depresso non debba essere marginato o abbandonato. Un fattore molto rilevante di questo tema è il fattore della famiglia, che è fondamentale in primis per essere presente e accudire, non in maniera neonatale, ma come punto di riferimento per offrire non solo protezione, ma anche un modello utile per far vedere come ci si impegna e come ci si sacrifica rispettando le regole comuni. Poi ci sono le istituzioni, quindi il sistema, la scuola, l'aspetto politico e economico che devono essere pari a tutte queste modalità di processi di socializzazione che sono secondo me fondamentali».

Quanto è diffusa l'idea che i giovani non vogliano lavorare? Questo è un luogo comune?
«Io credo moltissimo nei giovani e dobbiamo smettere di etichettarli. Penso che il sistema sociale, economico, politico abbia la responsabilità di aiutarli poiché hanno il bisogno di essere riconosciuti e per questo è necessario fornirgli i giusti strumenti. Infatti non sempre condizioni politiche e sociali permettono loro di affermarsi nel mondo lavorativo, questo però non va visto nell'individualità: un giovane che fallisce non è un “fallito” è la società che lo ha abbandonato, in parte, e noi non vogliamo abbandonare i giovani».

Quali sono le iniziative che sono state attivate per contrastare questo fenomeno? Ci sono ad esempio dei progetti che sono riusciti e che hanno aiutato?
«Io credo che voi siate fortunati ad essere nati e cresciuti nella nostra Emilia-Romagna. Non voglio dire che le altre regioni siano pessime, perché direi è una cosa che non penso, ma sicuramente è una tra le poche regioni, insieme alla Lombardia, che può offrire più possibilità. Ho notato da alcuni dati dell'Istat che questo fenomeno è più forte in alcune regioni più di altre in base anche a delle percentuali dove c'è più carenza di questi servizi purtroppo. Proprio per questo motivo, tutte le iniziative che possano riguardare l'apprendistato, la scuola alternanza, o Pcto, possono essere modi per cercare di migliorare ed evitare questo fenomeno. Non possiamo dire che sono i ragazzi pigri che non fanno, ma ci devono essere delle strutture, dei progetti di inclusione, di orientamento, di formazione che in qualche modo possano servire da strada per migliorare. C'è un progetto europeo sull'innovazione sociale finanziato dall'Alma che offre ai NEET tra i 18 e i 29 anni l'opportunità di fare un'esperienza professionale in un altro paese europeo per favorire la loro integrazione sociale e professionale».

Nei prossimi anni, la situazione dei NEET rimarrà tale e quale a quella attuale oppure andrà ad evolversi in meglio o in peggio?
«Se le politiche economiche sociali e gli investimenti della formazione tecnologica continuassero a migliorare, anche la situazione dei NEET migliorerebbe molto. Ogni lavoro oggi richiede una formazione tecnologica e tecnica. L'Emilia Romagna, in questo caso Modena, ha una filiera di attività di manifattura, di meccanica ,di elettronica o di agroalimentare che deve essere in grado di creare una congiunzione tra scuola e lavoro, attraverso dei corsi che con microinterventi possono aiutare i giovani in cerca di lavoro. Quindi ci sarebbero sicuramente delle soluzioni, attraverso delle risorse economiche, che devono essere messe a disposizione. Questo io vedo e spero per le nuove generazioni».

Che messaggio vorrebbe dare ai giovani che si trovano attualmente in difficoltà?
«Quello di non mollare mai. È una cosa che ho sempre detto ai miei figli quando sono in difficoltà. Magari non si ha sicuramente una stabilità, ma avete la fortuna di poter sapere più lingue, di potervi muovere e magari anche cercare un lavoro. Bisogna accettare con una certa tolleranza, umiltà anche dei lavoretti che forse non sono proprio la vostra attitudine piena. Però, se uno si impegna e si fa riconoscere dagli altri, automaticamente si riconosce da solo. È chiaro che ci sono nei NEET delle persone che forse lo fanno anche per scelta, come i clochard, che decidono di emarginarsi dalla società perché hanno subito delle condizioni anche psicologiche che sicuramente non li hanno aiutati. Però esistono oggi tanti strumenti e modalità per cercare di superarli, come andando dallo psicologo, per cercare di migliorarsi. Quindi ai NEET dico forza e coraggio e più che altro spero che negli adulti, che sono i vostri punti di riferimento, troviate coerenza tra ciò che dicono e fanno. Questo è il mio augurio».

*studentesse del liceo Sigonio, classe 4I