Gazzetta di Modena

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Sequestrata la società del re delle slot

Sequestrata la società del re delle slot

È la Gari di via Grecia, controllata da Antonio Padovani, già in carcere per i suoi rapporti con mafia e camorra

16 dicembre 2011
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di Giovanni Tizian

Un sequestro da 40 milioni di euro. Ad Antonio Padovani, il “Re mida” siciliano del settore del gioco d’azzardo legale, i finanzieri del Gico di Caltanissetta hanno inferto un duro colpo nell’operazione denominata “Repetita iuvant” sequestrando 15 società attive nel settore, tra queste la Gari srl con sede a Modena. Non è la prima volta (da qui il nome dell’operazione) che Padovani finisce nel mirino dell’Antimafia. Nei primi mesi del 2011 i giudici del Tribunale di Gela riconoscono Padovani colpevole di intestazione fittizia di beni, ma non di concorso in associazione mafiosa come sostenuto dalla Dda di Caltanissetta. Da quella condanna i finanziari avviano una indagine patrimoniale conclusa ieri con il maxi sequestro di beni riconducibili a Padovani e ai familiari. «Si ravvisano le condizioni per sottoporre alla misura cautelare reale di prevenzione non soltanto i beni di proprietà di Padovani Antonio, ma anche quelli, formalmente intestati alla moglie Fazio Rosaria e ai figli Padovani Maria Cristina, Padovani Luigi Fabio, nonchè della compagna di quest’ultimo Di Franco Letizia». È quanto si legge nel provvedimento. A finire sotto sequestro anche una Ferrari F355 Berlinetta, del figlio .

È l’ulteriore conferma dell’interesse delle cosche nel settore delle macchinette da gioco. Nessuna organizzazione è esclusa dall’affare legale delle video slot, regolato dai Monopoli. A questo proposito, proprio Padovani operava su licenza ministeriale di betting 2000 srl nel ramo delle scommesse online attraverso il sito sportandgames.it.

L’indagine che ha portato al processo e alla condanna di Padovani porta il nome “Mercurio- Atlantide”. In quelle carte l’imprenditore è descritto come il braccio economico della cosca Madonia di Caltanissetta nel settore delle slot e del gioco più in generale. Il capo carismatico dei Madonia è “Piddu” Madonia-recluso al 41 bis- che ai tempi della cupola e delle stragi era inserito nella commissione regionale di Cosa nostra. Da quell’indagine emerge per la prima volta il nome della società Gari srl con sede a Modena in via Grecia 5. Una società di cui la Gazzetta già nel 2010 ha raccontato dei proprietari e della vicenda dei sequestri delle quote, poi dissequestrate, ad Antonio Padovani. Era il 2009 e l’indagine “Mercurio-Atlantide” svelò un sistema integrato tra mafia nissena, imprenditoria collusa e funzionari dei Monopoli corrotti. Da quelle carte spunta, come raccontato dalla Gazzetta, il nome del genero del super boss Piddu Madonia, che secondo la Dda nissena, avrebbe trascorso qualche tempo a Modena per lavorare presso l’azienda di Padovani. Dove Padovani “ha la fabbrica, dove fanno queste cose”, dicono due indagati nel corso di una telefonata intercettata.

Il nome di Padovani si legge anche negli atti della Dda di Napoli. È aprile 2009- tre mesi dopo l’indagine dell’antimafia di Caltanissetta- quando scatta l’operazione “Hermes”. Gli investigatori di Napoli lo ritengono anche vicino alle cosche catanesi Ercolano-Santapaola. Due famiglie che hanno segnato con il sangue la storia della Sicilia. E che oggi hanno investito milioni nel settore delle sale slot e delle scommesse. Nell’indagine della Dda di Napoli di nuovo l’imprenditore Padovani, il “Re mida” delle macchinette, è al centro di indagini che svelano un sistema in cui clan dei casalesi e Cosa nostra collaborano per investire nel settore del gioco d’azzardo legale e per acquisire sale Bingo. Padovani è una figura chiave secondo gli investigatori siciliani e campani che hanno seguito le indagini a suo carico. Il gip di Napoli lo definì «Uomo di mafia, egli si presta, per il clan di appartenenza, nel medesimo settore delle slot dove opera da tempo, garantendo anche attraverso la compiacenza di funzionari infedeli, l’ottenimento delle concessioni e curando l’apertura di sale intestate a terzi, ma in realtà riconducibili ad interni alla cosca». E l’omologo di Renato Grasso, secondo i Pm di Napoli, sul versante siciliano. Renato Grasso è l’imprenditore che, secondo la Dda di Napoli, ha stretto un patto di ferro con il Clan dei casalesi e con i clan napoletani per la gestione delle sale bingo e delle macchinette. Macchinette che, come già raccontato dalla Gazzetta che rivelò le dichiarazioni del pentito Bidognetti, venivano imposte dal clan anche nel Modenese fin dal 1995, sotto la supervisione di Mario Iovine detto “Riffifì”, vicino a Sigismuondo di Puorto e a Nicola Schiavone, il figlio di “Sandokan”, ritenuto nuovo vertice del Clan.