Dalla droga alle slot Carriera e amicizie di “Rocco” Femia

di Giovanni Tizian
Dalla droga alle slot Carriera e amicizie di “Rocco” Femia

Boss della banda sgominata con l’inchiesta “Black Monkey” “Non è organizzazione mafiosa”. Ma le carte dicono altro

18 aprile 2013
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C'è un lungo elenco di rapporti e frequentazioni tra "Rocco" Femia e personaggi di spicco di altre cosche di 'ndrangheta e camorra. Nelle informative redatte dagli specialisti del Gico della Guardia di Finanza di Bologna e inviate ai pm bolognesi che hanno coordinato l'indagine Black Monkeys - 29 arresti e sequestri per 90 milioni di euro - ci sono i punti di contatto con boss di primo piano della 'ndrangheta. “Saldature” che non hanno però convinto i giudici del Riesame ad accogliere la contestazione di associazione mafiosa.

Quindi per i giudici di Bologna il clan capeggiato da Nicola Femia pur avendo, come conferma il Riesame, commesso i reati aggravati dal metodo mafioso (Articolo 7, che appesantisce il reato semplice), non forma, nell'insieme dei suoi indagati, un'associazione mafiosa, ma un'associazione semplice. In altri termini: i soggetti hanno commesso estorsioni con metodi mafiosi, minacce con metodi mafiosi (per cui è stata ammessa l'aggravante mafiosa) ma l'insieme dei soggetti non formano un'associazione mafiosa. Tecnicismi giuridici, che si ripetono in Emilia Romagna. Dove - dicono i dati - solo una volta nella storia il 416 bis è arrivato a sentenza.

COSCHE LOMBARDE. Noti sono i rapporti con il clan Valle-Lampada, originari di Reggio Calabria, espressione del potente clan Condello. Per capire la forza di questa 'ndrina è sufficiente descrivere i suoi complici: c'è Franco Morelli - politico del Pdl legatissimo al sindaco di Roma Gianni Alemanno - da poco condannato a 8 anni per concorso esterno in associazione mafiosa, ci sono giudici e magistrati finiti accusati di corruzione e favori vari. Le intercettazioni sono diverse, e si ritrovano anche negli atti giudiziari di Milano.

Femia chiama il boss Leonardo Valle. Giulio Lampada contatta Femia. C'è feeling. Si aiutano a vicenda. Parlano di videoslot: in Lombardia, alle società di Valle, l'ex narcotrafficante e oggi impresario del gioco Femia invia un carico di macchinette. Quando a luglio 2010 la famiglia Valle subisce arresti e sequestri, Femia si lamenta con un amico: gli sono debitori di 120mila euro e teme di averli persi.

Nel 2008, “Rocco” viene disturbato anche per parlare delle imminenti elezioni politiche. È l'11 marzo 2008. Giulio Lampada venti minuti dopo aver parlato con Tarcisio Zobbi, politico dell'Udc reggiana, chiama “Rocco”: chiedendogli di convogliare dall'Emilia Romagna, in vista delle prossime elezioni, il maggior numero di voti possibili per una persona, definita dal Lampada “nostro carissimo amico”, mediante una cena da organizzare in Emila Romagna, alla presenza di numerose persone. Un aspetto rimasto fuori dall'inchiesta Black Monkey, perché accaduto due anni prima dell'inizio dell'indagine.

'NDRANGHETA REGGINA. Da giovane affiliato alla cosca Mazzaferro di Marina di Gioiosa Jonica, Nicola Femia, come emerge dagli atti di indagine, è rimasto attaccato alle sue radici. Ha continuato a frequentare affiliati e uomini satelliti di quella 'ndrina, che in alcuni casi sono andati a trovarlo fin dentro il suo feudo ravennate. Francesco Agostino, indagato in Black Monkeys, è uno di quelli che dalla Calabria bussa alla porta della reggia di Conselice dove vive Femia. Ecco come lo descrivono gli investigatori: “In rapporti di parentela con Rosa Agostino e Barbara Mazzaferro, rispettivamente vedova e figlia del Boss Vincenzo Mazzaferro di Gioiosa - ucciso nel 1993, alla cui organizzazione Femia è stato affiliato”. Agostino sarebbe “direttamente riconducibili alla criminalità organizzata”.

Poi ci sono i contatti con il clan Alvaro di Sinopoli: i loro interessi vanno dalla gestione delle attività nel porto di Gioia Tauro alla spartizione dei lavori sulla Salerno-Reggio Calabria. E i suoi uomini sono ben radicati anche fuori dai confini nazionali.

Gli investigatori nel lungo elenco di boss della 'ndrangheta che Femia conosce inseriscono il nome di Roberto Jerinò, dell'omonima 'ndrina di Gioiosa Jonica. E infine ci sono i legami con le cosche di Siderno, comune della Locride sciolto per mafia poche settimane fa. I detective della finanza hanno rintracciato incontri tra i fratelli Zimbalatti e Filippone, che non compaiono tra gli indagati di Black Monkeys, ma hanno diversi precedenti a loro carico, e i magistrati della Procura antimafia di Reggio Calabria li inseriscono nell'organigramma delle cosche di Siderno.

Ecco cosa si legge nelle carte: «Filippone e Zimbalatti sono in abituale frequentazione con Femia e il suo sodale Domenico Cagliuso, la presenza dei Filippone e dei Zimbalatti nelle province di Bologna e Ravenna fa intendere il trasferimento dei loro interessi criminali in tale contesto territoriale».

CLAN DEI CASALESI. La prima volta che una procura antimafia del nord si accorge di lui, è il 2008. Nell'inchiesta Medusa contro il clan dei Casalesi nel Modenese. Femia è il consulente dei giochi nei circoli gestiti dagli uomini di Nicola Schiavone, il figlio prediletto di Francesco “Sandokan”. È lui che fornisce i giochi on line, comprese le ricariche, ai circoli di Carpi e Castelfranco. Dispensa consigli ai gestori. Li tranquillizza quando esprimono preoccupazione per le vincite dei clienti.

La sua comparsa però rimane tra le righe. Solo due anni dopo gli investigatori capiscono che Femia è il re delle slot e del gioco on line in Italia e all'estero. Quei contatti con il clan Schiavone però nel curriculum di “Rocco” restano. Così come rimarranno scritti quelli con Ciro Irco, che frequenta Femia ed è in “abituale contatto” con Nicola Sarno, capo indiscusso del clan camorristico Sarno.

È il pacchetto di amicizie e relazioni discutibili che Femia porta con sé. Che nulla hanno a che vedere con gli altri uomini a sua disposizione, i professionisti da lui pagati per arrivare dentro la Cassazione e cambiare l'esito della sentenza di appello che lo aveva condannato a 23 anni di carcere per reati con l'aggravante di mafia. In effetti la suprema Corte annulla, ma con rinvio. E ora si attende di nuovo l'appello.

Un filone di indagine, quello sulla Cassazione, delicatissimo, stralciato e inviato alla procura antimafia di Roma.