Pronti a scoprire cosa fu l’Olocausto
Dopo 24 ore di viaggio i ragazzi entra nel vivo il programma che metterà gli studenti a diretto contatto con i lager
Ventiquattro ore (o quasi) di treno sono lunghe. Si prova ad ingannare il tempo come si può: due chiacchiere, una partita a carte, al massimo un’escursione al bar. O ancora si guarda un film, si partecipa agli eventi organizzati dallo staff o si segue il corso di fotografia. Non di rado, però, ci si annoia. E a qualcuno scappa anche un lamento, complice la notte in cuccetta. Poi, però, il pensiero va a quanti, quello stesso percorso – Fossoli-Aushcwitz – lo fecero 70 anni or sono. In piedi, ammassati su vagoni che parevano carri bestiame, senza alcun servizio igienico o bar di sorta e, soprattutto, da detenuti e non da uomini liberi. Una condizione alla quale tanti provano a pensare, ma con la quale diviene impossibile immedesimarsi. E questo nonostante l’adeguata preparazione ricevuta dagli stessi studenti prima della partenza. Tre o quattro incontri, volti a fornire ai partecipanti una preparazione sia dal punto di vista storico che emotivo, visto che l’esperienza si preannuncia tutt’altro che facile. «Ci hanno detto che questo viaggio ci avrebbe cambiato nel profondo, che avremmo dovuto riflettere per bene su quello che vedremo, in modo da rielaborare al meglio», spiega Edoardo Buffagni, del liceo San Carlo. A fargli eco è una sua compagna, Federica Franceschini, seduta un paio di sedili più in là: «Inoltre ci è stato consigliato di prenderci qualche minuto per distaccarsi dalla gita di massa e stare da soli nei posti più significativi», aggiunge. Simone Vaccari, studente del Corni, va anche oltre, e spiega perché questa esperienza sarà tanto forte. Bisogna infatti capire che «tutto quello che è successo lo vedrò dal vero». Tutto l’orrore dei lager, insomma, sarà “a portata di mano”, e non in fotografie o su un libro. «Potrò vivere l’esperienza senza filtri, senza che mi venga nascosto nulla». A Maria Vittoria, del Barozzi, hanno poi suggerito di «partire con la mente libera, senza aspettarsi niente». Non cercare l’impatto emotivo a tutti i costi, quindi, anche perché in questo modo rischia di non arrivare. Un discorso, in un certo senso, di “alleggerimento”, condiviso anche da Emanuele Barani. «I ragazzi che ci hanno parlato dell’aspetto emotivo hanno detto che sarà sì un’esperienza importante, che lascerà il segno, ma che allo stesso tempo – al contrario di quanto ci aspettavamo – ci sarà anche spazio per il divertimento». Maurizio Sala sta invece sull’altra lato del processo formativo; è un professore, del Corni Tecnico. «I ragazzi? Li ho visti molto sensibili all’argomento, so che alcuni di loro hanno avuto dei bisnonni nei campi di concentramento, quindi sanno di cosa stanno parlando».
Luca Dominianni, all’ultimo anno del Fermi, infine, focalizza la sua attenzione sull’aspetto “storico” degli incontri formativi. «Siamo stati preparati in una maniera più storica che umana. E questo è stato sicuramente positivo, perché penso che il primo aspetto debba in qualche modo “prevalere” sull’altro». Tale impostazione, infatti, «ha fatto si che ci potessimo distaccare da un clima troppo angosciante». In un certo senso un clima anche “limitante”, dal momento in cui si dimostra incapace «di farci apprendere appieno quello che è stata la storia di Auschwitz». Alla base di questa “formazione storica” stanno tre incontri, più o meno comuni a tutte le scuole. «Inizialmente abbiamo parlato del campo di Fossoli, dello smistamento dei deportati», spiega Vincenzo Rognetta, studente del Wiligelmo. Ma l’orizzonte non si è limitato ai soli lager nazisti, toccando anche quelli inglesi e quelli sovietici.