Il gioco rende felici e migliora la qualità di vita
Studio sui frequentatori di Play: relazioni familiari positive e nessun segno di depressione
Può il gioco diventare un antidoto alle patologie psicologiche del terzo millennio? Evidentemente sì, stando alla ricerca effettuata da Krzysztof Szadejko e Chiara Vallini del Centro Studi e Alta Formazione “Donald J. Ottenberg” di Modena. Il posto ideale dove svolgere l’indagine statistica è ovviamente Play, dove lo scorso anno sono stati sottoposti ad un questionario circa 900 visitatori. E i dati vengono sintetizzati in una conclusione tadicale: «Si può affermare - scrivono i due professori - che, tra i soggetti coinvolti nell’indagine chi non utilizza in modo esclusivo i videogiochi e si dedica anche ad altre tipologie dei giochi, come quelli da tavolo, di ruolo, di carte, di miniature, riporta una maggiore soddisfazione sia a livello generale che dei bisogni psicologici di autonomia, competenza e relazionalità nei contesto delle relazioni familiari. Questo è un dato estremamente importante da divulgare come uno dei aspetti positivi legati al gioco».
In sostanza se il mondo delle scommesse sportive sta iniziando a scricchiolare e a fronte di un continuo aumento delle giocate fa registrare una crescita anche degli scommettitori patologici che chiedono aiuto, quello del puro diverimento presente con i suoi stand in fiera è un toccasana per le persone che lo approcciano.
«L’uomo nella sua essenza - scrivono Szadejko e Vallini - è stato definito come Homo Sapiens, Homo Faber, ma anche come Homo Ludens. Il gioco fa parte della sua natura ma anche della sua cultura. Giocare, è un atto libero, è l’agire dell’uomo che si svolge secondo una finalità propria e secondo il sistema di regole. C’è un aspetto che accomuna tutti coloro che giocano: una costante esplorazione delle proprie potenzialità e della propria creazione».
Dall’analisi dei dati raccolti e catalogati emergono poi qualche curiosità ulteriore: i giocatori sono tendenzialmente maschi (66%) e l’età media che frequenta Play è di poco inferiore ai 30 anni con gli emiliani che la fanno da padrona (62,5% degli intervistati).
I giochi da tavolo sono i più utilizzati (64%), seguiti dai videogiochi (41%), i giochi di ruolo (28,7%) e i videogiochi on line (27,1%). Sono invece il 13% coloro che dicono di cimentarsi con “un po’ di tutto”.
Ma la positività del gioco invade anche un terreno sociologico. Gli appassionati, infatti, dimostrano di avere una maggior capacità di ragionamento tant’è vero, come spiega Andrea Ligabue, stanno prendendo corpo diversi progetti per gli anziani: l’obiettivo è quindi quello di stimolare le capacità cognitive e mnemoniche: un allenamento della mente. Senza poi dimenticare la trasversalità del mondo ludico: si può giocare insieme anche se si hanno età parecchio diverse, il tutto in nome di quella socializzazione che tende sempre più a svanire nel mondo individualista di oggi.
@francescodondi
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