Rientrati dal viaggio i seicento studenti
Incontro in una carrozza per raccontare “presa di coscienza” ed esperienze difficili da trasmettere
Il Treno della Memoria ha vissuto, ieri, la sua giornata conclusiva. Quella più impegnativa peraltro, almeno dal punto di vista “rielaborativo”. Sul convoglio, partito intorno alle 19 di sabato da Cracovia, per giungere alla stazione ferroviaria carpigiana nel pomeriggio successivo, si ha tutto il tempo per ripensare all’esperienza vissuta. L’appuntamento è per le 21 e 30 nella “carrozza attività”. Il programma prevede un incontro tenuto da Francesco Cataluccio e Paolo Nori. In realtà, gli organizzatori hanno deciso per un cambio all’ultimo minuto, optando per lasciare la parola ai ragazzi. Il momento viene quindi dedicato alla riflessione. Una riflessione che viene introdotta da storici e scrittori, che passa per le parole dei professori e di chi, quel viaggio, l’ha già compiuto più di una volta. Poi, però, il microfono passa agli studenti.
Giacomo Ricci, del liceo Wiligelmo. «All’inizio non sapevo cosa aspettarmi: sono partito con l’idea di farmi sorprendere. Ed effettivamente questa esperienza mi ha sorpreso». La domanda alla quale tutti cercano di rispondere è, più o meno, “cosa ti porti a casa?”. Caterina Bondi, ad esempio «la consapevolezza – spiega la studentessa del San Carlo – che quanto successo ad Auschwitz potrebbe benissimo capitare anche a noi». Giacomo, invece, è più dubbioso. «Prima di tutto sarebbe giusto chiedersi cosa di me rimane là. In Polonia ho lasciato quell’insensibilità, quell’indifferenza che mi porta a pensare solamente ai miei problemi». Un ragionamento che sembra venire ripreso da Francesca Mariini, anche lei del Wiligelmo. «Si porta a casa innanzitutto una maggiore umiltà». Un processo che finisce per influire sulla tua quotidianità. La “presa di coscienza” su quanto accaduto in quei luoghi, infatti, oltrepassa ben presto il livello storico, e “finisce per pesare anche nel tuo piccolo”. Ma da qui a raccontare, ad “aprire” e condividere l’esperienza ai compagni, c’è una bella differenza. Non è certo facile, infatti, superare questo scalino.. «Quando sono entrata a Birkenau – spiega un’altra delle studentesse, Giulia Guidi - la prima parola che mi è venuta in mente è stata “inimmaginabile”. È una parola che mi sono portata dietro per tutta la settimana, e che ripetevo a quanti, da casa, chiedevano le mie impressioni». Del resto una rielaborazione di questo tipo non è per nulla immediata, soprattutto quando le sensazioni vissute sono ancora così fresche. Giulia, ad esempio, non ha ancora avuto il tempo di mettersi a pensare, e a dirla tutta non sa se riuscirà «a raccontare l’esperienza fino in fondo, a riportare quanto ho vissuto ai miei compagni».
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