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L’oro nero di famiglia in una... telefonata

L’oro nero di famiglia in una... telefonata

Pierluigi Selmi rilevò quasi per caso le batterie della zia che oggi dedica a figlie e nipoti

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L'avventura balsamica di Pierluigi Selmi è cominciata all'inizio degli anni Ottanta del secolo scorso, alcuni giorni dopo il funerale di sua zia.

«Mi telefonò mia madre dicendomi che mi doveva parlare a proposito delle tre botti di aceto della sorella defunta. La sua comunicazione si concluse con un imperativo “le devi prendere tu! Tuo fratello ha detto che non le vuole. Vieni quando vuoi, ma presto perché il solaio della zia deve essere sgombrato entro due settimane”», racconta Pierluigi, ricordando quella telefonata.

E così è cominciata l'avventura dell'acetaia di Rubizzano. Modenese doc, da quasi 40 anni il signor Selmi abita in un piccolo comune della Bassa bolognese, in una vecchia casa di campagna con un grande giardino e tanti fiori.

«Mia moglie Donata è bolognese ma si è convertita all'uso smodato del parmigiano (a volte le scappa ancora di chiamarlo forma) e all'aceto balsamico che produciamo secondo le regole del tradizionale di Modena. Nel 1980, quando ci nacque Giulia, un amico modenese ci regalò una botte nuova da 25 litri. Una volta prese in consegna le tre botti della zia Giovannina, le portai nella campagna bolognese, assieme ad un'altra piccola botte da un litro che aveva contenuto del marsala, che un amico mi aveva regalato una volta vuota. Le quattro botti (e mezzo) furono sistemate in cantina: le tre vecchie contenenti aceto balsamico dall'inizio degli anni Trenta, la piccola riempita col balsamico delle grandi. In quella nuova misi dell'aceto forte, quello che si faceva in damigiana aggiungendo anche il vino delle bottiglie non terminate. Nel 1986 io e Donata ci sposammo con una grande festa nell'aia di casa. Lo stesso amico ci regalò un'altra botte nuova da 13 litri, con incisi l'anno e i nostri nomi. Fu allora che decisi che bisognava fare qualche cosa».

E così Pierluigi si rivolse a un maestro acetiere: «Si chiamava Brandoli - racconta Selmi - Era un uomo anziano, segaligno, vestito modestamente, aveva mani grandi e forti, da contadino. Si muoveva nella cantina di casa nostra come un sacerdote durante un rito pagano, con la sicurezza ieratica che è propria dei santoni. Assaggiò il contenuto delle botti utilizzando l'alzavino di vetro che aveva portato con sé. Senza guardarmi, osservando il liquido controluce, chiese un “bicer”, come certi chirurghi in sale sterili, quando allungano la mano alla ferrista e ordinano bisturi. Il giorno della sua visita lo ricordo ancora come un giorno memorabile». Brandoli obbligò Pierluigi a tenere il registro di tutto quello che succedeva in acetaia. L'originale è un quaderno a spirale che inizia con la data 4.4.86, il giorno in cui, ufficialmente, l'acetaia è nata. Leggiamo a caso: tutte le operazioni vanno fatte in luna buona, cioè quella per le semine.

«Il primo prelievo è registrato il 27 dicembre 1991. Nel dicembre del 95 è registrato l'acquisto di tre botti. Nel febbraio del 2001 il registro mostra la nuova mappa del casottino grezzo di nuova fattura. Le botti sono diventate diciotto e la qualità comincia ad essere discreta. Il 9 gennaio 2002 si legge: assaggiato botte 1: fantastico! Dolce, cremoso, profumato ma giustamente acido».

«Oggi tutta la famiglia è orgogliosa della nostra acetaia, che migliora anno dopo anno, diventando un prodotto serio, nonostante sia in territorio forestiero - conclude Selmi - Le batterie in produzione sono tre, una ciascuna per le due figlie e la terza, partita pochissimi anni fa, per il nipotino che, idealmente, diventerà il prossimo custode del tesoretto. Il fanciullo è metà modenese e metà friulano e sarà lui che prima o poi prenderà in mano la gestione dell'acetaia. Ha l'impostazione giusta, adora il balsamico e ogni volta che lo usa, lecca il tappo per non perdere nemmeno una goccia!».

Laura Solieri

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