La spezieria benedettina di Modena fra rimedi e antiche ricette
Ecco come nel monastero modenese si mantiene viva una cultura millenaria «Alla base di tutto il rispetto della natura e del creato che sono doni di Dio»
È un piccolo paradiso di prodotti della natura la Spezieria monastica San Mauro dei Padri Benedettini di Modena, in via San Pietro 7. Prodotti rigorosamente provenienti da monasteri benedettini, dove l'esercizio spirituale della preghiera va di pari passo con la pratica di coltivazione della terra da cui estrarre, secondo antichi e prodigiosi rituali di lavorazione, ciò che può essere utile alla quotidiana sopravvivenza dell'uomo.
C'è da credere che questi luoghi religiosi siano diventati custodi della genuinità di cose che possono garantire un sicuro nutrimento. «Sono prodotti biologici coltivati dagli stessi monaci. Tutto è concepito - dice il giovane priore Stefano De Pascalis del monastero modenese - seguendo antiche ricette. Vive la regola del rispetto della natura, del creato che è dono di Dio. E ogni monastero ha le sue specialità».
Così nella produzione di miele, propoli e polline è specializzato l'abbazia-convento di Finale Ligure “depositaria” anche di quelle ricette benefiche per disintossicare fegato e sangue. E non solo. Il monastero di Germagno (Verbania) si distingue per le confetture. Confetture extra, come le prugne al cioccolato, sono dei frati carmelitani scalzi di Loano (Savona); quelle con pomodori verdi dei trappisti di Vitorchiano (Viterbo). Tante le qualità di birra artigianale e la speciale bionda è “firmata” dai monaci di Cascinazza, mentre la grappa invecchiata è dei benedettini di Vallombrosa (Firenze). Un vero rosolio è quello di ciliege. Rendono felici i più esigenti sommelier i vini di Muri-Gries e Valdobbiadene.
Bastano poche gocce imperiali dell'Abbazia di Chiaravalle della Colomba (Piacenza), create due secoli fa dal monaco Fra Eutimio, «a tramutare un bicchiere d'acqua - scriveva D'Annunzio - in una specie di opale paradisiaca», per scongiurare la cattiva digestione, profumare l'alito, liberare le vie respiratorie. Fa miracoli il cerotto benedettino dell'Abbazia di Seregno (Milano), un unguento nero adatto alla terapia di foruncoli, ascessi, unghie incarnite e anche di seni fistolosi e glandole infiammate. Sa lenire il dolore, pur con la capacità di estrarre dalla pelle, spine, schegge, frantumi di vetro. E i prodigi continuano con il veleno d'api per guarire contusioni e ematomi, con i tronchetti di carciofi (pillole) per regolare l'intestino e e la funzionalità epatica. Cura la cervicale l'unguento all'arnica (cera d'api) dell'Abbazia di Praglia (Padova).
E la perduta bellezza, non solo quella femminile, la si può ritrovare nella straordinaria varietà di saponi, bagnischiuma, shampoo, lozioni anticaduta dei capelli, creme per la giovinezza.
Tutto pare essere prodigioso nella “bottega” del complesso architettonico di grande valore storico e artistico dell'Abbazia di San Pietro Apostolo, in cui operano Luca e Sonia, due oblati laici (terzo ordine) che hanno abbracciato lo spirito benedettino.
Un luogo che mantiene viva la cultura millenaria della cose buone. I benedettini modenesi si stanno preparando per produrre aceto balsamico tradizionale. E sempre viva la regola “Ora et labora”. Il priore, citando San Benedetto dice che «l'ozio è nemico dell'anima, e quindi i fratelli devono in alcune ore determinate occuparsi nel lavoro manuale e, in altre ore anch'esse ben fissate, nello studio delle cose divine... perché allora sono veri monaci quando vivono col lavoro delle loro mani».