La “cicatrice” della disoccupazione
Ricerca svela i condizionamenti, anche poco evidenti, dell’essere senza lavoro
Essere disoccupati oggi è una “cicatrice” che limita l’assunzione domani. Gli economisti lo definiscono “scarring effect of unemployment” e produce esiti negativi per chi cerca lavoro. Federica D’Isanto, ricercatrice dell’università “Federico II” di Napoli, ne ha discusso al dipartimento “Marco Biagi”. L’esperta ha analizzato con il suo gruppo 3.946 lavoratori di 312 cooperative sociali italiane, mostrando come un altro inserimento sia possibile.
UNA SPIRALE PERVERSA. Il “marchio” di disoccupazione produce effetti su chi cerca, ma anche su chi offre lavoro. I datori possono ritenere che una persona a lungo ferma sia scarsamente produttiva, optando per un’altra. Il lavoratore può accettare incarichi sotto le sue qualifiche, e dunque sotto le retribuzioni a cui può ambire, e per meno tempo. Tutto pur di evitare di perdere reddito e conoscenze utili in un mercato in fermento. Una “spirale perversa”, ha sottolineato la ricercatrice, in cui entrano in gioco le istituzioni, quando favoriscono i più “esperti” verso una nuova occupazione. Una volta “dentro”, la cicatrice fa ancora male. Oltre ai fattori economici, il gruppo ha indagato la qualità dei lavoratori “cicatrizzati”.
I DATI. Partiamo dall’età. Se prima del 2001 gli ex disoccupati assunti under 30 erano il 45,61%, dopo sono scesi al 36,43%. Tra i più grandi (dai 40 anni in su) al primo incarico, il dato passa dallo 0,97% a 4,32%. Quasi triplicati coloro che venivano da un altro lavoro stabile con oltre 49 anni (dal 2,65% al 7,09%). Essere donna non aiuta, visto il 82,59% di prime occupate alla soglia del 2001 contro il 77,91% dopo; il titolo di studio sì: il 50,24% dei nuovi occupati ha almeno una laurea nella “fase 2”, contro il 36,16% prima. Si dimezzano però i ruoli di vertice: prima del 2001 il 34,71% dei nuovi assunti ha raggiunto la vetta, contro il 17,32% del secondo periodo. Nella prima fase il 94,66% dei disoccupati aveva un contratto a tempo determinato, il dato crollava poi al 70,13%.
LA QUALITÀ TIENE MEGLIO Le differenze si attenuano sul lungo termine, specie da un punto di vista sociale. Oggi più che ieri i nuovi occupati ritengono di avere attenzione da parte della cooperativa (69,45% contro 67,97%), anche se per altri indicatori le percentuali scendono. L’autonomia scende di circa il 5% per i nuovi occupati (dal 60,58% al 55,50%), salendo quasi altrettanto per gli ex lavoratori stabili (da 54,9% a 59,28%). «L’effetto cicatrice esiste in tutto il mondo - ha concluso D’Isanto - però possiamo concludere che cooperative sociali possono offrire un buon livello di inclusione. Si potrebbe indagare anche sull’aziende dopo la crisi: con politiche mirate, come incentivi economici, si possono ridurre gli effetti».
Gabriele Farina