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«Guarigione? Possibile nel 50% dei casi»

«Guarigione? Possibile nel 50% dei casi»

Radio Liberamente ha incontrato il responsabile del Centro di Barriera di Milano e direttore di una collana editoriale

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«Almeno nel 50 per cento dei casi la guarigione è possibile».

Radio Liberamente ha incontrato a Modena il professor Giuseppe Tibaldi, responsabile del Centro di Salute Mentale di Barriera a Milano e coordinatore scientifico del Centro Studi e Ricerche in psichiatria di Torino. Tibaldi è anche il direttore della collana “Storie di guarigione” per le Edizioni Mimesis e ideatore di un concorso letterario nato per facilitare la moltiplicazione dei racconti autobiografici di chi è “sopravvissuto” a esperienze psicotiche (http://www.storiediguarigione.net/).

Professor Tibaldi, qual è la sua definizione di “matto”?

«Se dovessi definire un “matto” parlerei di una persona che, per un certo periodo della propria vita, ha attraversato una fase di confusione. Questo periodo può essere più o meno lungo ma, siccome la confusione viene subito notata dagli altri, ne possono scaturire conseguenze immediate per la vita della persona, come d esempio lo stigma».

Secondo lei si può guarire dalla malattia mentale?

«Certo che si guarisce! Sono ormai tantissime le testimonianze di persone che hanno attraversato la malattia e ne sono uscite. Molti studi lo hanno dimostrato: si parla di percentuali sopra il 50% di guarigione. Dal mio personale punto di vista penso che per guarire sia fondamentale l'accettazione dei propri punti deboli, ovvero accettare che la crisi che si attraversa sia una fase di passaggio importante prima di tutto per noi stessi. Dal disagio mentale si guarisce quando si comincia a progettare qualcosa di nuovo rispetto a ciò che si aveva prima».

Quindi come si guarisce?

«Anche se due persone hanno ricevuto la stessa diagnosi, i percorsi di vita e la malattia sono sempre diversi. Ogni persona è unica: raccontare la storia di chi è uscito dalla malattia mentale è importante non per copiarla ma per avere bene in mente che si può guarire e c'è chi l'ha fatto prima di noi».

Pensa che parlare di sé e della propria storia faccia bene?

«Parlare di se stessi fa star bene se si ha l'idea di voler chiarire il proprio problema. Ma non sempre è utile perché non tutti gli ascoltatori sono interessati a ciò che si dice».

Parliamo del concorso letterario che ha inventato. Come è nato “Storie di guarigione”?

«Leggendo la storia di Ken Steele, (ndr: persona di grande coraggio che ha svolto l'attività di rappresentante dei diritti dei pazienti psichiatrici ed ha lavorato come editore) che ha attraversato le peggiori esperienze psichiatriche che si possano immaginare. Il primo anno ci hanno scritto quasi seicento persone e ci siamo subito resi conto che valeva la pena continuare a lavorare al progetto».

Raccontare storie di guarigione, secondo lei, può essere un metodo per prevenire il disagio mentale?

«Secondo me sì, soprattutto perché ascoltando queste storie si può acquisire una maggior sensibilità nel riconoscere il proprio malessere fin dall'inizio. Spesso, infatti, in un primo momento si prova vergogna e si tende a nascondere agli altri i propri problemi. Se però si è a conoscenza che il disagio può avere un'evoluzione positiva, le storie di guarigione possono diventare un aiuto per non sentirsi soli e per riuscire anche a chiedere aiuto. Credo che le storie molto spesso siano più convincenti delle diagnosi o dei pareri degli esperti. Sentire le storie di altri, e raccontare le proprie, aiuta ad avere una visione positiva del futuro».