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Scambio di embrioni al Pertini: a Modena clamoroso precedente

Carlo Gregori
Scambio di embrioni al Pertini: a Modena clamoroso precedente

Diciotto anni fa la vicenda di due gemelli neri nati al Policlinico da una coppia di modenesi bianchi I genitori, per il probabile scambio di provette, vennero poi risarciti con un milione e mezzo di euro

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È di ieri la notizia del clamoroso scambio di embrioni tra coppie, dovuto a un errore all'ospedale Pertini di Roma, e una donna è rimasta incinta di due gemelli di un'altra dopo un trattamento di fecondazione assistita. Il Ministero della Salute, tramite il Centro Nazionale Trapianti, ora dovrà svolgere una ispezione.

Sulla base di quanto si è per il momento appreso, lo scambio di embrioni è avvenuto il 4 dicembre scorso, quando quattro coppie si sono sottoposte al trattamento di fecondazione assistita.

Ma nonostante i molti test svolti prima della procedura qualcosa è andato storto e gli embrioni da impiantare sono stati scambiati. Con il risultato che ora una delle quattro donne è incinta al quarto mese di due gemelli con il profilo genetico di un'altra coppia.

Questa vicenda di stretta attualità accaduta a Roma riporta alla memoria un caso per molteplici aspetti analogo, e altrettanto clamoroso, avvenuto a Modena nel 1996.

Quel caso ha portato negli anni scorsi il Policlinico a risarcire la famiglia, assistita dall'avvocato civilista Mario Colizzi, per un milione e mezzo di euro: sempre per uno scambio di provette, due gemelli neri nacquero da una coppia di modenesi bianchi.

Il caso diventò di pubblico dominio solo nel 2004 quando si aprì la causa civile al tribunale di Modena avviata dalla famiglia con i due bebè neri contro il Policlinico per quanto era accaduto al reparto di Ginecologia e Ostetricia allora diretto tra l'altro da un esperto di fecondazione artificiale come il professor Annibale Volpe.

La vicenda è esplosa al momento del parto della modenese che con il marito aveva cercato una soluzione alla loro incapacità di avere figli naturalmente attraverso una fecondazione artificiale omologa. Si tratta in particolare della fecondazione praticabile fino alla sentenza della Corte Costituzionale dei giorni scorsi, sentenza che ora permette anche quella eterologa, ovvero con l'apporto di un terzo. I genitori dei due bebè neri decisero di denunciare l’ospedale Policlinico in quanto era evidente che si trattava di uno sbaglio: da sottolineare che in Italia un caso del genere non era mai avvenuto e all'estero soltanto con estrema rarità.

L'ipotesi iniziale è che ci fosse stato uno scambio durante la fase in laboratorio. Si chiarì così che il giorno in cui i due modenesi si erano recati alla clinica di Ostetricia e Ginecologia erano previsti ben tre cicli di fecondazione artificiale omologa per coppie che presentavano diagnosi di sterilità.

I due modenesi furono gli ultimi delle tre coppie, mentre i primi risultarono una coppia di colore. L'errore doveva essere avvenuto a quel punto: in qualche modo il materiale genetico del papà di origine africana deve essere stato trasmesso al materiale genetico della mamma bianca modenese. I due modenesi hanno in seguito provato a riavere altri figli ma i loro tentativi non hanno avuto successo.

La direzione generale del Policlinico, che allora era guidata da Claudio Macchi, avviò uno studio affidando l’incarico a una commissione interna.

Al momento della prima udienza Claudio Macchi stesso fece sapere che all'origine di quanto era accaduto c’era «probabilmente un errore umano da parte di un operatore. Una sfortunata concatenazione di eventi eccezionali».

In termini tecnici, quello che viene definito un caso di "inquinamento ambientale".

Lo stesso professor Annibale Volpe confermò: «È un errore commesso in laboratorio. Io e il mio staff eseguimmo un solo intervento di fecondazione assistita al giorno proprio allo scopo di limitare la percentuale di rischio. Dalle ricerche che ho fatto, invece, lo sbaglio commesso anni fa è capitato in una giornata in cui eccezionalmente furono eseguiti tre interventi. Non mi so spiegare il motivo per cui la coppia abbia aspettato tanto a parlare rivelando pubblicamente quanto era accaduto».

Secondo il professor Volpe, nel caso specifico lo strumento che potrebbe avere trasmesso il materiale genetico, determinando il grave errore, potrebbe essere stata una pipetta sporca.