Invecchiamento, nel Dna il segreto della longevità
Studio partito nel 2006 in tutta Europa coordinato da due ricercatori dell’Ateneo Nel “mitocondriale” probabile chiave per allungare la vita e migliorare la salute
Il DNA mitocondriale è il segreto della longevità. Nuova luce è stata fatta sui processi biologici legati all'invecchiamento, con l'individuazione di strategie nel miglioramento della salute degli anziani.
Grazie a uno studio che vede il contributo fondamentale dei ricercatori dell'Università di Modena e Reggio Emilia, è stato scoperto il ruolo del DNA mitocondriale circolante come causa di infiammazione cronica. L'interesse della comunità scientifica internazionale si è subito attivato tanto che l'esito di questa ricerca sarà pubblicato sullo European Journal of Immunology di maggio, una delle più prestigiose riviste del settore.
Lo studio, condotto dal 2006 al 2013, si è svolto nell'ambito del progetto europeo EU - GEHA, coordinato dal prof. Andrea Cossarizza e dal prof. Claudio Franceschi dell'Università di Bologna, e ha visto coinvolti numerosi centri di ricerca del territorio nazionale.
Lo studio ha previsto la raccolta di campioni di plasma, quantificando il DNA mitocondriale di 831 soggetti sani di diverse nazionalità europee sino ai 104 anni di età.
«Di questi 429 erano campioni appartenenti a “fratrie”, cioè coppie di fratelli di oltre 90 anni, e 402 di soggetti da 1 a 89 anni - spiega Cossarizza - Da molto tempo è noto come l'invecchiamento sia strettamente associato al processo infiammatorio, tanto che per spiegarlo è stato coniato il vocabolo “inflammaging”. Mancava capire perché comincia questo processo. Per molti anni si imputava la causa alla presenza di virus o alla risposta immunitaria. Ora invece capiamo che una delle cause è presente all'interno del nostro organismo ed è rappresentata da quei prodotti che le cellule rilasciano quando muoiono per vari motivi. Abbiamo visto - prosegue Cossarizza - che il DNA presente nei mitocondri è molto coinvolto in questo fenomeno e probabilmente le persone anziane più longeve hanno un controllo maggiore sulla liberazione di DNA mitocondriale».
Il progetto vede coinvolti anche ricercatori dell'Università di Firenze, il Dipartimento di Patologia Clinica di Baggiovara, il CNR di Pisa e l'Istituto Superiore di sanità di Roma, ed è finanziato in parte dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Vignola.
«È una grande soddisfazione da parte dell'Ateneo e questo testimonia la capacità dei nostri ricercatori di creare delle cordate di alto livello su tematiche di grande utilità e d'avanguardia, con soluzioni di interesse internazionale» spiega il rettore Andrisano.
Si tratta di una scoperta che riguarda una componente stabilita geneticamente, ma ci sono anche altre concause.
«È noto, per effetto di una serie di studi, che l'invecchiamento è anche frutto di componenti ambientali e stile di vita - precisa il dott. Marcello Pinti sempre della nostra università e che ha portato avanti questa ricerca - La molecola che è in grado di innescare il processo di infiammazione non lo fa da sola, succede quando sono presenti altre condizioni di tipo batterico.
Questo significa che certamente la quantità di DNA mitocondriale è in parte già decisa geneticamente, ma noi possiamo intervenire sull'altro elemento, quello che aiuta ad innescare il processo.
Ad esempio si può lavorare su alcune componenti batteriche che sono assorbite per via intestinale».
Non si è trovato il mitico elisir di lunga vita, ma certamente sapere di più del nostro sistema immunitario e dei meccanismi fisiologici che conducono all'invecchiamento consente di far progredire le terapie rivolte agli anziani.
Lo studio, infatti apre le porte a molte ricerche future e di immediata applicazione nelle terapie di ogni giorno. «Si tratta di un passaggio importante - aggiunge il prof. Anto De Pol, direttore del Dipartimento Chirurgico e Scienze Morfologiche dell'ateneo - che porta a capire come avvengono certi fenomeni degenerativi come l'Alzheimer, il Parkinson, la Demenza Senile, ma anche malattie autoimmuni, come il diabete che provocano tanti decessi».
«Vorremmo sensibilizzare l'opinione pubblica sull'importanza di questi studi che vengono a volte fatti con troppo silenzio, e che invece hanno un importanza sostanziale, con ricadute legate alle nostre esigenze primarie», conclude Andrisano.