Gazzetta di Modena

Modena

“Nymphomaniac”: sessualità tra controllo e fuga

di Alberto Morsiani
“Nymphomaniac”: sessualità tra controllo e fuga

Ambizioso progetto di Von Trier che racconta in due volumi la vita di una nevrotica compulsiva

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NYMPHOMANIAC VOL. 1 di Lars Von Trier. Danimarca 2014

Il tema del “controllo”, e di come ci si possa sfuggire, è al centro dei film di Von Trier; i suoi personaggi cercano, costantemente, la “libertà” dalle catene che ciascuno si costruisce da sé, e non solo dai condizionamenti sociali e dalla massificazione borghese (il fatto che quella danese sia una “affluent society” molto permissiva e “democratica” ha avuto naturalmente la sua importanza nella sua poetica d’autore). Non fa eccezione “Nymphomaniac”, che riprende anche l’altro tema prediletto del regista, quello dell’itinerario peccato/espiazione/redenzione compiuto dall’eroina del film. Il progetto, come sovente in Von Trier, è di smisurata ambizione: il “director’s cut” prevederebbe cinque ore e trenta minuti di proiezione, che si sono ridotte a circa quattro ore (divise in due volumi, come “Kill Bill” di Tarantino) per il pubblico italiano. Sono state tagliate anche diverse tra le scene di sesso più esplicite. Si tratta della vita di Joe, interpretata dai cinque ai cinquantacinque anni da tre attrici diverse. All’inizio del primo volume troviamo una Charlotte Gainsbourg piena di lividi, che viene raccolta, curata e castamente messa a letto da Seligman, un tipo amante della pesca a mosca e delle lezioni su cose faticose in cui si mescolano Bach, Fibonacci e precetti di sviluppo personale. In qualche modo, Joe e Seligman rappresentano, rispettivamente, Natura e Cultura, sempre in precario equilibrio nell’opera di Von Trier. La donna inizia un racconto diviso in capitoli della sua vita di miserabile piccola peccatrice (lo dice lei stessa). Si tratta dell’interminabile calvario di una nevrotica entrata nella sua sessualità in modo compulsivo, secondo una pura logica di autopunizione piuttosto che di ricerca del piacere. È la politica dei numeri, insomma. La litania degli amanti sfila in un clima grigio-marroncino, sinistro sia per un dispositivo narrativo di costante va-e-vieni, sia per la reiterazione dei meccanismi di colpevolezza e umiliazione, applicati a Joe ma anche alla corte patetica dei suoi partner, visti sistematicamente sotto una prospettiva di beffardo disdegno. Sotto forma di sfogo autobiografico di Joe al suo interlocutore, si dipana uno studio del complicato, ambiguo concetto di ninfomania, che diventa, nelle mani del regista, un teatrino disincarnato. Transitando da una sfilata di peni a un audace parallelo tra la pesca a mosca e la fellatio, la conversazione da camera tra Joe e Seligman è inframmezzata da continue immagini metaforiche, da criceti dentro una gabbia a tramonti fiammeggianti. Von Trier, da moralista - anzi, da giansenista alla Pascal - applica così la sua griglia di lettura a un mondo che vuole, in qualche modo, controllare e riquadrare con la potenza del concetto. La logica narrativa è quella dell’ornamento e della diversione, il nucleo concettuale è quello di una visione dolente e morale insieme del sesso.