Fotorepoter arrestato dentro chiesa in Uganda
Aldo Soligno: «Facevo un reportage sulla caccia ai gay: agenti in borghese mi hanno rinchiuso in una stanza tenendomi segregato senza accuse»
«Ho passato dei momenti difficili per questo servizio. Ero stato a Gaza durante i bombardamenti, ma non avrei mai pensato che avrei affrontato due ore così tese, sequestrato in una chiesa da poliziotti in borghese senza sapere di cos’ero accusato e cosa volevano farmi».
Aldo Soligno, 31 anni, è un fotoreporter modenese che si occupa di reportage in giro per le “zone calde” del mondo: alle spalle tanti reportage di disastri di guerra, bombardamenti, terremoti, deforestazioni, ma quello che gli è capitato a Kampala, capita dell’Uganda gli resterà impresso. Nel Paese al centro dell’Africa è in corso una caccia ai gay: il presidente Yoweri Museveni soffia sul fuoco dell’odio popolare contro gli omosessuali. E in queste settimane l’Uganda è al centro dell’attenzione mondiale proprio per questa attività che sta diventando più che persecutoria. Così Aldo, convinto dopo una chiacchierata a un bar di Milano con il direttore della sua agenzia fotografica, la Echo Photography, decide di fare la valigia e prendere un volo da Milano a Entebbe, l’aeroporto dell’Uganda. «Sapevo a cosa stano andando incontro ma non pensavo fosse una faccenda così grave - racconta - sono arrivato a Kampala con un contatto con un attivista lesbica. Una donna che rischiava la pelle per rendere pubbliche le sue idee in difesa dei suoi diritti: oggi i gay in Uganda sono perseguitati. Addirittura sui giornali pubblicano lunghe serie di fototessera con nomi e cognomi per identificare i gay schedandoli e aizzando la popolazione contro di loro. Così un giorno ho deciso di andare a vedere le radici di questo odio». La domenica mattina del 6 aprile Aldo si presenta davanti a una chiesa Pentecostale nella quale predica un focoso pastore famoso per le sue parole contro i gay. «Ho chiesto se potevo fare qualche foto alla funzione religiosa; mi hanno guardato malissimo. Dentro la chiesa c’erano ben due check point, uno scanner, un metal detector e agenti in borghese. Mai visto niente del genere, soprattutto in una chiesa». Aldo viene allontanato ma fa una foto panoramica alla chiesa. Gli corrono dietro e due agenti in borghese lo portano dentro la chiesa chiudendolo in una stanza. Gli fanno sapere che è in arresto, ma non gli dicono con quale accusa. Resta segregato lì dentro, da solo, per quasi due ore.
«Ho chiesto di fare una telefonata. Mi hanno dato il numero dell’ambasciata ma a quell’ora non c’era nessuno. Allora ho chiamato la mia compagna che ha avvisato il direttore dell’agenzia. Poco dopo l’Unità di Crisi della Farnesina ha telefonato a qualcuno che ha chiamato la polizia a Kampala. A un certo punto, quando avevo paura che finisse male, è entrato un poliziotto che mi ha detto che potevo andarmene e mi ha anche ridato la macchina fotografica. L’incubo era finito. Se non fossi stato un fotografo italiano, non so cosa mi avrebbero fatto». Il reportage sarà esposto in anteprima a Modena il 4 maggio presso Mediaworld.