Quei 7 mila 336 modenesi morti e la tragedia dei reduci
Un grande tributo di sangue pagato dalla provincia dal fronte fin dopo Caporetto E per chi tornò l’odioso sospetto di intesa con il nemico e l’epidemia “spagnola”
Una tragedia “totale” come la Prima Guerra Mondiale, di cui ricorrono i cent'anni dall'inizio, ha causato 7336 morti modenesi.
Si tratta dei soldati – 1089 per la città, il resto proveniente in massima parte dalla Bassa – che hanno perso la vita nella cosiddetta Caporetto italiana, quasi per intero fanti e quasi sempre poveri contadini e mezzadri spediti al fronte a morire.
[[atex:gelocal:gazzetta-di-modena:modena:foto-e-video:1.9088411:MediaPublishingQueue2014v1:https://www.gazzettadimodena.it/modena/foto-e-video/2014/04/21/fotogalleria/modena-e-la-prima-guerra-mondiale-1-1.9088411]]
Persone che non avevano nulla, se non la capacità fisica di resistere alle privazioni delle trincee lungo il Carso e negli altri luoghi del conflitto. I soldati che invece non divennero carne da macello, e sono alcune centinaia di modenesi, una volta tornati a casa subirono “l'onta” di restare per molti mesi prigionieri in alcuni campi di raccolta organizzati anche a Castelfranco e a Mirandola.
Subito dopo il 1918 infatti lo Stato organizzò in varie località del nord e sud Italia dei centri di residenza coatta per i soldati reduci dalla guerra che iniziò il 28 luglio 1914 (l’Italia entrò il 23 maggio del 1915).
[[atex:gelocal:gazzetta-di-modena:modena:foto-e-video:1.9088428:MediaPublishingQueue2014v1:https://www.gazzettadimodena.it/modena/foto-e-video/2014/04/21/fotogalleria/modena-e-la-prima-guerra-mondiale-2-1.9088428]]
Ne parlano gli storici Fabio Montella, che ha scritto i libri “Prigionieri in Emilia” e “Modena e Provincia nella Grande Guerra”, e Giuliano Albarani presidente dell'istituto storico di Modena.
Partiamo dai reduci, subito prigionieri dopo essere sopravvissuti alla guerra. «I reduci tornano a casa e sono immediatamente di nuovo prigionieri perché l'idea dei comandi militari era di interrogarli chiedendo a ognuno di loro perché si era arreso alle truppe nemiche, perché eri loro prigioniero: in sostanza, perché non sei morto? Siamo nel novembre del 1918, ma ben presto i vertici militari si occorsero che era impossibile interrogare tutto i soldati rientrati, essendo oltre 400mila, in più c'era l'epidemia di Spagnola. Questo è il destino del soldato della prima guerra mondiale. Prima è carne da cannone con assalti all'arma bianca davanti alle mitragliatrici nemiche e poi rientra ed è gravato da molti pregiudizi».
Veniamo ai morti di Modena. «Ci sono 7.336 caduti nell'intera provincia, di questi soldati 1089 sono di Modena città. Questo perché nel capoluogo esistevano le fabbriche che servivano l'esercito italiano e dunque lì esisteva la strada per non partire per il fronte. A Concordia non tornano a casa in 228, a Mirandola in 352, a Vignola in 109 solo per fare alcuni esempi. E ai morti si aggiungono i tanti feriti, numeri che porteranno a cercare di migliorare le condizioni di vita delle classi meno agiate, operazione destinata a essere spazzata via dall'arrivo del fascismo. Arrivarono in migliaia, perché Modena era a poche decine di chilometri dal fronte: la pennicillina non esisteva e le terribili ferite causate dalle “nuove” mitragliatrici si infettavano in fretta. La stessa Spagnola nel 1918 causa nella nostra città decine di migliaia di morti».
[[atex:gelocal:gazzetta-di-modena:modena:foto-e-video:1.9088460:MediaPublishingQueue2014v1:https://www.gazzettadimodena.it/modena/foto-e-video/2014/04/21/fotogalleria/modena-e-la-prima-guerra-mondiale-3-1.9088460]]
Una situazione drammatica in città. «Già e c'è un bisogno immediato di ospedali. Sotto la Ghirlandina servono subito nuovi ospedali, tanto che molte scuole vengono requisite, così come a Carpi, Mirandola e Vignola. In più si attivano tanti privati perché lo Stato dava finanziamenti a chi si prendeva carico dei feriti. Prima della Grande Guerra non c'era l'abitudine ai feriti e per questo nascono nel dopoguerra le prime forme di welfare, a causa delle mutilazioni fisiche, ma anche mentali. A Modena sorsero nuovi ospedali al Foro Boario, nel seminario di piazza San Francesco, alla chiesa di San Paolo, a villa San Faustino».
La prima guerra è meno nota della seconda, solo una questione di tempo trascorso? «Le motivazioni forse sono legate al fatto che non è stata una guerra vissuta sul territorio, mentre nel secondo conflitto le stragi vere e proprie sono state qui. Tra l'altro nell'agosto dell'anno scorso è morto a 105 anni l'ultimo testimone modenese della prima guerra: don Antonio Galli di Pievepelago. Ora ci restano i monumenti, come il Tempio di piazzale Natale Bruni, ma anche tante memorie private delle famiglie».
Il ruolo delle donne quale fu? «Fu molto importante, perché frutto di un cambiamento epocale della condizione femminile. Le signore sostituiscono gli uomini partiti per il fronte soprattutto per i lavori agricoli, nei lavori impiegativi e nelle attività come la guida dei tram. Molte poi saranno ovviamente crocerossine e tantissime lavoravano nella Manifattura tabacchi. Il loro ruolo cambia di nuovo con l'avvento del fascismo».
E il ruolo della Chiesa? «Resta un ruolo controverso: papa Benedetto XV parlò di “inutile strage” e il vescovo di Modena Natale Bruni fece realizzare il Tempio ai Caduti. Però le gerarchie ecclesiastiche non si schierarono contro la Grande guerra».