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Stanislao Dziwicsz: «Così ho vissuto accanto a un santo»

Stanislao Dziwicsz: «Così ho vissuto accanto a un santo»

Il segretario: «Ha speso tutte le energie per liberare l’uomo dalle oppressioni e dai gioghi delle ideologie»

23 aprile 2014
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«Ho vissuto con un santo», ha più volte affermato il cardinale Stanislao Dziwicsz, arcivescovo di Cracovia (Polonia), parlando di Giovanni Paolo II, il papa che ha servito per 40 anni come segretario personale e che il 27 aprile sarà inserito nella schiera dei santi. «È un appuntamento – confida il porporato – che stiamo aspettando con infinita felicità», pur puntualizzando di non essere stato per nulla sorpreso quando, dopo la scomparsa di Karol Wojtyla, la sera del 2 febbraio 2005, il giorno dei solenni funerali in piazza San Pietro migliaia di fedeli lo acclamarono “Santo subito”. Una richiesta attualizzata in tempi relativamente brevi. Sei anni dopo la morte, il 1° giugno 2011, per Giovanni Paolo II arrivò l’ora della beatificazione. Il 2014 è l’anno della santificazione universale. Quasi un record, che il cardinale Dziwicsz accoglie con una gioia apparentemente scontata.

Eminenza, Wojtyla predestinato sulla via della santità?

«Da tempo vado ripetendo che ho vissuto accanto un santo quando il beato Giovanni Paolo II era in vita. Ora che la Chiesa lo canonizza sembra di assistere alla ratifica di un atto quasi dovuto, spontaneo, un traguardo che era stato già deciso in tempi assai lontani».

Il sentire popolare lo proclamò “santo subito”. Lei dice di esser stato testimone della santità ancora prima.

«Lo accompagnai fino all’ultimo. Si sarebbe potuto pensare che fosse la fine di tutto. In realtà fu l’inizio di una nuova storia. Morte e funerali divennero catechesi emozionante per il mondo. La santità comincò a parlare loro. La santità è la sintesi di chi era lui e di quello che riuscì a compiere in tutta la sua vita».

Tra i primi a capirlo – oltre a lei – è stato papa Francesco che lo ha voluto santificare insieme con un altro gigante della Chiesa, Giovanni XXIII.

«E non a caso fin dall’inizio del pontificato di papa Bergoglio si è subito notato la grande affinità che lo lega alla figura di papa Roncalli. Dopo nove anni dalla scomparsa di Giovanni Paolo II arriva per la Chiesa uno straordinario momento di grazia con la proclamazione di due papi santi, legati da una continuità pastorale straordinaria tutta legata al Concilio Vaticano II, che ha avuto in Giovanni XXIII il profetico ideatore e in papa Wojtyla il realizzatore».

Wojtyla ha governato la Chiesa per 27 anni e nell’immaginario collettivo è di casa. Ma c’è una “formula” che fa capire più a fondo la personalità di uomo e di pastore?

«Sì. È la preghiera la chiave giusta per capire la personalità di Wojtyla. Sin da giovane, e soprattutto a partire dagli anni bui segnati dalle esperienze della Seconda guerra mondiale, quando come tutti i polacchi fu costretto a sottostare a nazismo e comunismo, fu affascinato dalla persona di Gesù, il quale entrò nella sua vita e lo conquistò per sé e per il Vangelo. Il giovane discepolo cominciò un intenso cammino spirituale, imponendosi un programma a cui rimase fedele».

Un programma osservato anche nel pontificato?

«Certo. Pregava ogni giorno nel suo studio secondo le indicazioni del Vangelo. Ma noi tutti abbiamo avuto l’occasione di sentire le sue preghiere nelle grandi celebrazioni a Roma, nelle chiese, nelle basiliche, negli stadi e nelle piazze dei vari Paesi visitati. Pregava da solo e con coloro cui prestava servizio. Pregava come solo un vero pastore sa fare».

Wojtyla, un grande pontefice, ma anche un grande polacco che ha dato tanto al suo Paese in momenti non facili.

«È stato al servizio del suo Paese e del mondo intero. È stato al servizio dell’uomo, specie il più umile, povero, oppresso, sfruttato e diseredato. Senza guardare al colore politico, alle appartenenze sociali e alle religioni. Si è speso per il rispetto dell’uomo, proclamando la sua dignità a partire dal rispetto dei diritti umani, del diritto al lavoro, della libertà politica e religiosa. Impegni e verità professati in tutta la sua vita e per tutti i 27 anni di pontificato, durante i quali ha scritto encicliche che hanno segnato il corso della storia».

Qual è l’aspetto più caratterizzante del pontificato?

«Ha speso tutte le sue energie per liberare l’uomo dalla schiavitù, dalle oppressioni e dai gioghi delle ideologie, nazismo prima e comunismo dopo, avvertendo, però, che dopo quello di Berlino, c’era un altro Muro da abbattere: sfruttamento dei poveri, corsa alla ricchezza sfrenata dell’Occidente, capitalismo. Lo ha gridato forte senza farsi condizionare da posizioni politiche».

Un’opera incessante al servizio dei più poveri, svolta da Wojtyla avendo accanto il fido Stanislao Dziwicsz.

«L’ho servito con l’amore di un figlio verso il padre, stando nell’ombra. Ma ora continuo a servirlo, con il primario impegno a tenere viva la sua memoria. La memoria di un santo». (o.l.r.)

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