Gazzetta di Modena

Modena

«Afghanistan addio» Il ritorno a Modena del generale Battisti

«Afghanistan addio» Il ritorno a Modena del generale Battisti

«Non ci siamo comportati come truppe d’occupazione ma abbiamo allestito strutture sanitarie, strade, scuole»

24 aprile 2014
4 MINUTI DI LETTURA





Abita a Modena, ma lavora a Varese dopo essere stato l’ultimo comandante in capo che ha salutato l’Afghanistan poche settimane fa.

Ora per il generale Giorgio Battisti è il tempo dei bilanci dopo un impegno costato all’Italia tredici anni ininterrotti di presenza militare che ha coinvolto complessivamente non meno di 50mila uomini ra Kabul, Herat e territori vicini. In pratica quasi la metà dell’esercito italiano è passato tra le gole e le valli dove i mujaeddin controllano strade, economia e agenda politica a modo loro. Ovvero con il kalashnikov, gli assalti alle truppe della coalizione Isaf che affiancano il governo legittimato dalla comunità internazionale e guidato dal presidente Karzai. Soprattutto impongono una visione del mondo e della vita quotidiana improntato a una lettura integralista del Corano, come se tutta la nazione fosse un’intera moschea.

Tutto questo universo di forze contrapposte si sta rimettendo in moto nel momento in cui i reparti degli eserciti alleati tornano a casa e la politica fatta con le armi anzichè con il voto trova nuovi spazi. Nei giorni scorsi c’è stato il primo turno delle elezioni per il parlamento nazionale, nei prossimi giorni si terrà il secondo turno: sarà il banco di prova per vedere i risultati di una delle più lunghe e impegnative missioni militari delle forze armate tricolori.

Generale Battisti, quanto è servito l’esercito italiano nel raffreddare la guerra civile in Afghanistan che dura da 35 anni?

«Credo che anche noi, come i contingenti degli altri paesi, abbiamo fatto il massimo per disarmare le milizie che molto spesso si mescolano alle bande che vivono di ruberie varie. Spesso la coperta ideologica è un alibi. Certo, la missione Isaf ha avuto difficoltà, commesso errori e il presente si presenta difficile. Ma noi non abbandoniamo l’Afghanistan come hanno fatto i russi nell’89; le istituzioni locali saranno ancora supportate in tutti i settori dalla comunità internazionale».

Cosa lasciamo a Kabul?

«Tante cose, quelle che credo importanti. Tanto per cominciare non ci siamo comportati come truppe d’occupazione e abbiamo sempre mantenuto un rapporto di collaborazione con la popolazione civile, abbiamo allestito strutture sanitarie, strade, scuole».

Battisti si ferma un istante e guarda lontano come per rivedere i panorami sconfinati che attraversava sulle autoblindo e poi continua riportando a memoria le cifre e i dati che sono sui tavoli dei vertici militari e diplomatici della Nato e dell’Ocse. «Sono arrivato per la prima volta assieme ai reparti dell’esercito italiano nel 2001. Da allora di strada ne abbiamo fatta tanta. Con tanti limiti, imparando tanto, dovendoci difendere da attacchi a colpi di bombe, di ordigni non convenzionali. Ma oggi l’80% della popolazione ha accesso all’assistenza sanitaria di base con l’8% del 2001; la mortalità infantile si è ridotta di un quarto. E poi c’è l’istruzione: quasi 9 milioni frequentano le scuole elementari contro il milione sotto i talebani. Di questi il 40% sono ragazze. E non dimentichiano che la metà della popolazione afghana è costituita da giovani e giovanissimi. La crescita è progressiva in tutta la società: nel biennio 2007/2008 il numero delle donne alle superiori è raddoppiato, da 68 mila a 136 mila, mentre nello stesso periodo si sono laureate quasi 9 mila studenti di cui 1734 donne».

Però la politica continua a essere fatta con i mitra e le bombe.

«Sì, anche con quelle. Ma c’è tutto il resto che si è sviluppato con una capillarità impensabile sino a pochi anni fa. In quel contesto dire che un terzo della popolazione ha l’energia elettrica è un trionfo e nella città arriva a tutti per tutto il giorno. La metà della popolazione ha un televisore e due su tre un telefono cellulare. L’8% ha l’accesso a internet ma in compenso ci sono 175 stazioni radio, 75 canali televisivi, agenzie stampa, centinaia di pubblicazioni e 7 quotidiani. E poi le strade: ce ne sono per 32 mila km contro i 2500 del 2001».

Rimpianti? Per il generale Battisti, dopo quattro missioni e un figlio che, pure lui con la divisa, c’è stato sei volte, l’esperienza in Asia è stata fondamentale.

«La missione è finita - conclude - Mi mancheranno quei panorami senza fine, lo spirito di collaborazione forte con tutti i nostri militari, il lavoro fatto insieme con i reparti stranieri. Ma quello è il passato, ora tocca agli afghani».

Saverio Cioce