Gazzetta di Modena

Modena

GIAN CARLO MONTANARI

La lingua modenese, un tesoro vero

Dal XV secolo al “bazzotto” inventato da Marescotti nell’800

29 aprile 2014
2 MINUTI DI LETTURA





Con il suo libro “Considerazioni sull'antica lingua modenese” (Athena, pp. 127, euro 12,50), Gian Carlo Montanari torna a parlarci del dialetto modenese, attraverso quelli che definisce i suoi cantori, autori che con la loro opera contribuirono al suo sviluppo. Il libro comincia con la nascita del dialetto, questa “lingua illustre”, nuova e diversa dal latino che si forma a partire dal XIV secolo. Incontriamo così figure come Ippolito Pincetti (1535-1595) che col suo “Canzoniere” coltivò la poesia dialettale illustre. E ancora don Giuseppe Ferrari da Castelvetro (1720-1773), poeta dialettale che si firmava con lo scutmai, cioè col soprannome Tigrinto Bistonio secondo una tradizione che a Modena prosegue sino al ’900.

Terminata l'evoluzione del XIV-XIX secolo, l'autore si sofferma sugli alfieri di un dialetto ormai stabilizzato nelle sue forme fondamentali, proprio nel secolo che, con l'unità d'Italia, avrebbe posto le premesse per il suo superamento a favore di una lingua nazionale. L'Ottocento è ricco di alcune delle figure letterarie più feconde della nostra terra, sospese tra due mondi, l'Antico Regime morente e il nuovo stato liberale con le sue contraddizioni. Non a caso Montanari comincia la sua carrellata di letterati dialettali con Paolo Ferrari, che fu anche patriota.

Incontriamo quindi il teatro dialettale con Cesare Solieri ed Emilio Roncaglia mentre un intero capitolo è dedicato alle donne: Teresa Bernardi Cassiani Ingoni, che scrisse apprezzati sonetti in dialetto, la poetessa Maria Buffagni, e Valentina Cavazzuti Tenca che scrisse rime e canzoni popolari per i suoi studenti. Importante la figura di Giuseppe Abbati Marescotti che seguì la brigata estense in esilio col duca Francesco V, per tornare a Modena nel 1863 da sconfitto, dopo lo scioglimento della brigata. Marescotti inventò il “bazzotto”, cioè il sonetto dove si alternavano versi in dialetto e italiano con risultati esilaranti. Come non ricordare Enrico Stuffler, medico letterato, che si firmava “fulminant” (cioè fiammifero), protagonista della grande fortuna della satira nella seconda metà del XIX secolo assieme all'amico Oliviero Baccarini Leonelli, che, oltre a scrivere poesie, lavorò a un dizionario del dialetto; la prematura morte a 35 anni gli impedì di terminare l’opera. (ga.so.)