“La sedia della felicità”, commiato di un regista
L’ultimo film di Carlo Mazzacurati, un riuscito mix di crazy comedy e di storia sentimentale
LA SEDIA DELLA FELICITA di Carlo Mazzacurati. Italia 2013
Ciao Carlo! Un bravo regista, un'ottima persona, un fervente interista (che non guasta). Una personalità defilata e orgogliosamente individualista, in grado di cogliere l'aria del suo tempo con ricchezza d'atmosfere. Alcuni anni fa, fu ospite alla sala Truffaut con uno dei suoi film migliori, “L'estate di Davide”. Purtroppo se n'è andato poche settimane fa per il solito male incurabile, lui, un omone grande e grosso. Era nato a Padova nel 1956, dove aveva iniziato come organizzatore di cineclub con un gruppo di amici che lo accompagnerà anche oltre: Enzo Monteleone e Umberto Contarello sceneggiatori, l'attore Roberto Citran. Si trasferisce a Bologna dove frequenta il Dams. “Notte italiana” (1987), il primo film prodotto dalla Sacher di Nanni Moretti, segna l'esordio di un regista schivo e sensibile, capace come pochi di scovare gli angoli nascosti di una provincia intesa non solo come luogo geografico ma come spazio narrativamente intimo e lontano da toni gridati. Da “Un'altra vita” (1992) e “Il toro” (1994) a “Vesna va veloce” (1996), da “La giusta distanza” (2007) a “La Passione” (2010), descrive l'andatura dolente e ostinatamente dignitosa di un'umanità alla ricerca di un riscatto esistenziale, mostrandosi sempre attento alla misura espressiva e alla semplicità del racconto. Con “La lingua del santo” (2000) incrocia i codici della commedia e stempera (senza eliminarli) i toni malinconici della sua poetica. Uguale operazione compie con questo suo, purtroppo, ultimo film, “La sedia della felicità”. Ingredienti: un'assassina che vive in carcere e cela un segreto; un tesoro nascosto in una sedia kitsch; un'estetista affogata nei debiti e un tatuatore separato che, dandogli la caccia, si innamorano; un prete corpulento e misterioso che incombe su di loro come una minaccia. I tre diventano protagonisti di una rocambolesca, stralunata avventura che, tra equivoci e colpi di scena, li vede lanciati in una caccia al tesoro, dalle colline alla pianura, dalla laguna veneta alle cime nevose delle Dolomiti, dove in una sperduta valle vivono un orso e due fratelli. L'ispirazione per questo film nasce, come gli altri di Carlo, dalle suggestioni di un paesaggio fisico e umano che conosce molto bene, il Nordest, che, pur avendo un'identità precisa, può raccontare bene il resto d'Italia. C'è ancora una volta il desiderio del regista di narrare una storia in tono comico, senza però perdere né in realismo né in verità. L'umanità bizzarra del racconto emerge a volte attraverso le forme del grottesco, a volte in toni più lirici; ma la cosa che, come sempre, sta più a cuore a Carlo è riuscire a tenere insieme il senso di catastrofe, in cui pare che tutti stiamo cadendo, con l'energia e la voglia di riscatto che, nonostante tutto, si sente nell'aria. È riuscito l'impasto tra crazy comedy e film sentimentale, con titolo alla Hans Christian Andersen.