Modena e i paradisi fiscali sono sempre più in affari
Zavatti: «Non solo evasione: enormi flussi di denaro arrivano da questi Paesi verso il nostro territorio. Stimiamo si tratti di un 20 per cento di bonifici sospetti»
Modena sta facendo sempre più affari con i cosiddetti paradisi fiscali. Ma non si tratta solo del percorso classico, cioè la fuga, la sottrazione al fisco di grossi capitali in questi Paesi dove tutto, a livello bancario, è possibile e ammesso. Si tratta anche del percorso contrario: c’è un forte flusso di denaro “di ritorno”, un evidente segnale che non può non significare che riciclaggio, reinvestimento proprio sul nostro territorio. Le cifre: nell’ultimo semestre del 2013 dal Modenese partono dal 13 al 18 per cento di bonifici sospetti verso i “paradisi”, ma da quei Paesi arrivano nel Modenese dal 15 al 20% di bonifici sospetti.
Ma sono poi tanti complessivamente questi “bonifici sospetti”? «Su 33.680 segnalazioni antiriciclaggio effettuate nell'ultimo semestre, 2.470 provengono dall'Emilia-Romagna. Quelle dalle province di Bologna e Modena sono ben 1.100. Il dato modenese, in particolare, ci dà un numero di segnalazioni antiriciclaggio equivalenti a quelle dell'intera Basilicata, più quelle della provincia calabrese di Vibo Valentia». Così Franco Zavatti, coordinatore legalità e sicurezza della Cgil regionale, ormai un esperto in materia di riciclaggio e di lotta a questo fenomeno. Zavatti ha raccolto e divulgato i dati aggiornati forniti dall’Unità di investigazione antiriciclaggio della Banca d'Italia, il cui dossier che si basa sul monitoraggio effettuato dall’Uif. L’Uif è l’Unità di informazione finanziaria per l'Italia a cui sono assegnati i poteri informativi e i compiti di analisi per individuare e prevenire fenomeni di riciclaggio di denaro e di finanziamento del terrorismo.
«Questo organismo - spiega Zavatti - non si limita ovviamente solo a raccogliere le situazioni sospette ma a muovere tutte le forze dell’ordine preposte ad investigare e ad intervenire, dalla Finanza alla polizia e quant’altro. Un dato da sottolineare è che questi organismi che sovrintendono ai flussi di denaro e che controllano gli spostamenti sospetti sono sempre più correlati, sempre più in rete: è stato registrato un aumento del 267 per cento dell’interscambio informativo. Da un lato è un datosi confortante, dall’altro ci fa capire quanta attenzione ci sia su questi fenomeni, quanta sia la reale preoccupazione». Ma Zavatti punta ancora una volta il dito sulla scarsa collaborazione nel combattere e nel segnalare il possibile riciclaggio: «Nel rapporto si riconferma l'assoluta criticità dell'inconsistente contributo in segnalazioni da parte dei professionisti, pur tenuti a farlo per legge, con un esiguo 0,2% di avvocati, commercialisti, esperti contabili, consulenti del lavoro, revisori. A parte i notai, dai quali proviene il 90% di segnalazioni dell'intero mondo delle professioni, solo 65 vengono dai commercialisti e consulenti del lavoro di tutta Italia; 20 dagli avvocati e studi associati dell'intero bel Paese; ben 3 da tutti i revisori contabili nazionali». Dunque omertà, disinteresse. «Eppure - ammonisce Zavatti - le transazioni bancarie “strane” in partenza dai nostri territori vanno verso Paesi che mantengono, come si legge in apposite ricerche, “fondate correlazioni con i crimini legati al traffico di droghe e riciclo di risorse malavitose”.
E il fenomeno non è nato certo ora: «Negli ultimi anni sono 3.274 le operazioni finanziarie sospette partite da operatori dell'Emilia-Romagna verso il Lussemburgo, per 5.600 milioni di euro, ed una sessantina verso Panama e Mozambico. Transazioni classificate con un altissimo indice di rischio di 0,9 in un range variabile da 0 ad 1».