Gazzetta di Modena

Modena

Maria Paiato: Anna Cappelli, una borghese piccola piccola

di Chiara Bazzani
Maria Paiato: Anna Cappelli, una borghese piccola piccola

L’attrice spiega lo studio in forma di monologo su un testo di Annibale Ruccello che esplora i primi anni 60 condannandone certi ideali legati al boom economico

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MODENA. Al Teatro delle Passioni va in scena “Anna Cappelli, uno studio”, da stasera fino al 10 maggio alle 21, monologo che assieme al ritratto della protagonista, porta in scena un'epoca, quella dell'Italia all'inizio degli anni '60; e una condanna di quegli ideali piccoloborghesi, svuotati di umanità e valore e già messi in luce dalla penna di Pasolini, che qui vengono riproposti nel testo ancora molto attuale di Annibale Ruccello scritto nel 1986, drammaturgo culto della nuova scena napoletana e prematuramente scomparso in quello stesso anno. Il lavoro teatrale si avvale dell'interpretazione di Maria Paiato, e della regia di Pierpaolo Sepe, che ha vinto, per questo spettacolo, il Premio MArte Award alla regia.

Maria Paiato, chi è Anna Cappelli?

«Quando abbiamo iniziato a lavorare al testo di Ruccello, Anna Cappelli sembrava una piccola donna, di provincia, negli anno '60, con un po' di studi sufficienti a fare l'impiegata, di cui tutti si approfittavano. Ma poi abbiamo capito che non era una persona così perbene. Ecco perché alla fine ne abbiamo fatto un personaggio molto ambiguo, una donnina ambivalente, con una maschera di perbenismo che mostra alla gente, ma abitata da una parte sua nera, avida e feroce che a tratti non riesce a controllare, e mano a mano, nel corso dello spettacolo prende sempre più piede fino ad arrivare a uccidere. Un personaggio di cui si deve aver paura e di cui lei stessa deve aver paura».

Il finale, fa pensare al film “Un giorno di ordinaria follia”, ma forse c'è qualcosa di piu?

«Ovvio che questo finale faccia pensare a una mente che si spacca e compie un gesto inconsulto gravissimo. Volevamo invece raccontare qualcosa di terribile che sta dentro di noi che però sta anche un po' a noi saper controllare. Non vogliamo scusare questo comportamento tirando in causa un momento di follia, perché ci sono anche delle responsabilità che bisogna sapersi prendere».

Anna è vittima di se stessa?

«C'è una battuta del testo in cui Anna Cappelli dice “ho bisogno di avere delle cose mie, soltanto mie”, delle cose, dunque, genericamente, purchè siano cose. Emerge questo bisogno di rincorrere spasmodicamente quello che la società sembra dirci di rincorrere. Un bisogno continuo di avere e di possedere, trascurando anche il valore vero delle cose e dei rapporti. Anche la sua relazione sentimentale diventa una cosa da possedere, e questa confusione tra cose e persone, tra un rapporto autentico e il bisogno di avere la casa di proprietà perché ce l'hanno in tanti, lì sta la differenza».

La scena è rimasta fedele all'idea che avevate avuto fin dall'inizio, tre anni fa?

«All'inizio la scena e l'idea che Pierpaolo voleva dare del personaggio era di portare avanti l'indagine su questa persona con pochi elementi. Poi, come spesso accade, le prime intuizioni sono quelle che maggiormente hanno un loro equilibrio, una loro sensatezza, e la scenografia si è rivelata non un ambiente provvisorio per consentirci di fare lo spettacolo, ma lo spettacolo vero e proprio. C'è un fondale che riproduce la scritta di Anna Cappelli con uno stile che ricorda un po' la pubblicistica degli anni '60, e questo fatto di far intervenire l'idea della pubblicità, e attraverso essa la corsa al possesso, che molte volte ci impone proprio la televisione, è un elemento che ci è sembrato molto evocativo e che ricorda un'epoca; il nome scritto così rappresenta proprio la persona che si identifica con quel bisogno di benessere che c'era in quell'epoca lì e che anche oggi è rimasto».