Gazzetta di Modena

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Cemento nel parco/ «Perché non fate riaprire i vecchi chioschi in piedi?»

Cemento nel parco/ «Perché non fate riaprire i vecchi chioschi in piedi?»

Un imprenditore ricorre al Tar dopo l’annullamento del suo permesso a costruire «Mi avevano costretto a cambiare posto, così la struttura c’è ancora, usiamola»

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Il Comune gli ha annullato il permesso a costruire il nuovo chiosco, dopo il sequestro dei 4 cantieri già aperti. Così lui ha chiesto di poter riaprire il vecchio chiosco, che è ancora in piedi e in condizioni decenti, trattandosi di un’opera costruita 12 anni fa. Ma il Comune finora non glielo ha consentito adducendo in sostanza che ha perso il titolo sul vecchio chiosco. È la paradossale vicenda in cui si è imbattuto Carlo Serafini, 62enne titolare di uno dei chioschi al centro di una delle operazioni immobiliari più pasticciate e discusse degli ultimi anni.

Paradossale, perché per salvare la tanto evocata stagione e per evitare l’altrettanto evocato degrado l’unica soluzione che oggi appare praticabile è quella della riapertura dei vecchi chioschi che sono rimasti. La vicenda sarà discussa al Tribunale Amministrativo Regionale, cui il Serafini si è rivolto il 7 maggio con un ricorso elaborato dall’avvocato Giorgio Fregni. Contestualmente al ricorso, l’imprenditore ha notificato una più specifica istanza formale al Comune, perché ci ripensi e lo faccia aprire nella vecchia sede.

«Siamo una famiglia di 5 persone, e se la situazione non si sblocca i miei due figli vanno incontro a drammatici problemi. Senza contare tutti i soldi che abbiamo già speso e impegnato dopo essere stati trascinati in questa vicenda dei nuovi chioschi, sulla quale non ho mai espresso particolare entusiasmo».

Anche Serafini è stato interrogato dalla polizia giudiziaria del Corpo Forestale, cui ha espresso tutte le sue perplessità: «Ricordo innumerevoli riunioni con il Comune - dice - che con noi non ha dialogato, ma ci ha messo di volta in volta di fronte al fatto compiuto, comunicandoci le sue decisioni. Per me poi è stato deciso un trasloco, dalla posizione attuale al cosiddetto “Cedro”. Ricordo che per costruire il mio chiosco, 12 anni fa, ho speso 120 milioni di lire. Negli ultimi due anni eravamo in attivo con la gestione, ma c’è stata anche qualche stagione in cui alla fine dell’estate ci abbiamo rimesso. Pensavo quindi di avere già speso abbastanza, invece con questo trasloco ho dovuto impostare un progetto da 300mila euro, per realizzare una struttura da 8 dei famosi “moduli”. Una cifra spaventosa, per cui ho chiesto un finanziamento contrattando di poter rientrare non in 5 ma in 8 anni. C’è stata subito una sorpresa, perché i miei tecnici hanno scoperto che al “Cedro” era stata inserita una seconda struttura, di un nuovo imprenditore, che nulla centrava con i vecchi gestori. C’è voluta una lunga trattativa per far capire al Comune che era troppo».

Serafini stava così attendendo il permesso ad aprire il cantiere quando è esplosa la questione degli abusi edilizi e dei sequestri. Poi il 20 marzo gli è stata notificata la sorpresa la decisione del Comune di dichiarare la decadenza del suo permesso a costruire.

L’8 aprile ha chiesto con un atto formale al Comune di tornare sui suoi passi. Di fronte al silenzio del Comune, mercoledì Serafini ha presentato il ricorso al Tar e ha inviato l’ulteriore richiesta al Comune per riaprire il vecchio chiosco.

Questo il testo: «A causa del sequestro penale del cantiere, non è dato sapere se e quando sarà possibile realizzare il chiosco autorizzato con il permesso di costruire 2972/2012 e con l'autorizzazione 9037 del 2013; ciò comporta gravissimi danni per il Serafini, che da un lato ha già sopportato ingenti costi, e dall'altro si trova senza alcuna fonte di reddito; a tali danni si può porre almeno parzialmente rimedio consentendo l'utilizzo del chiosco ancora esistente, posto in Viale Rimembranze 5; in tal modo si darebbe risposta alle esigenze della collettività, poiché è evidente la necessità e l'utilità dei servizi offerti dai chioschi (somministrazione di alimenti e bevande, servizi igienici, comoda fruizione del Parco ecc.), anche nella prospettiva di evitare fenomeni di abbandono e di degrado già manifestatisi negli ultimi tempi; si consideri che allo stato attuale e per tutta la stagione estiva i frequentatori del Parco non potranno disporre di alcuna struttura, stante il ben noto sequestro», scrive il legale.

«Il Comune finora non ne vuole sapere - spiega lo stesso Serafini - Mi auguro ci possa ripensare perché è una situazione kafkiana, della quale attribuisco ogni responsabilità allo stesso Comune. Penso almeno che se la questione fosse stata pubblicizzata a suo tempo, coinvolgendo la cittadinanza, forse a quest’ora non ci troveremmo in un pasticcio. Capisco anche che il Comune dopo le contestazioni della magistratura voglia togliersi d’impiccio, ma non può gettare noi a mare, specie quando, come nel mio caso, una possibilità di salvezza praticabile c’è».

Quello di Serafini non è l’unico caso singolare: il titolare del Lido Park, Michel Moccia, 22 anni, ha formulato finora inutilmente la stessa istanza: poter riaprire lo storico chiosco. E non è meno amareggiato.

Alberto Setti