«Guardava la realtà con disincanto e ironia»
“Ma non cedeva mai alla cattiveria”. Colleghi e amici hanno ricordato Eddy e il suo metodo di lavoro
La seconda parte della serata dedicata ad Eddy Berselli è consistita in un dibattito sui "segreti" del metodo di lavoro di Berselli attraverso gli interventi del direttore dell'Espresso Bruno Manfellotto, del presidente dell'Ansa Giulio Anselmi - assunse Berselli al Messaggero - e dal direttore editoriale del Mulino Andrea Angiolini.
Si parte con l'attore Andrea Ferrari che ha letto un editoriale di Berselli apparso su Repubblica il 18 settembre 2008 “Quando la politica diventa un format” e uno dell'Espresso del 4 ottobre 2007 dedicato a “Beppe Grillo l'algerino”. Segue un dibattito che ha tutto fuorché l'aspetto della commemorazione. «L'idea di mettere insieme questi materiali - dice il direttore Manfellotto - permette di rileggere materiali splendenti che io cerco di citare appena posso. L'archivio mette in luce il metodo e gli strumenti usati da Berselli. Strumenti fondamentali. Se lo studioso non sconfina e resta sul suo specifico ramo non sarà mai un intellettuale completo e non capirà mai del tutto il mondo intorno a lui: Berselli sapeva che il mondo è integrato e per questo mescolava sempre l'osservazione alta con quella più semplice. Ma l'aspetto più importante era il suo punto di vista, che non era mai il più diffuso del momento. È utile rileggerlo perché il fondale ci sembra drammaticamente sempre uguale, pensiamo alla corruzione...».
Molto sentita anche l'opinione di uno dei direttori di Berselli, Giulio Anselmi, oggi capo dell'Ansa e presidente degli editori italiani: «Io rileggerò alcune cose sul portale soprattutto per ricordarmi del suo metodo di lavoro e della capacità di Berselli di guardare modernamente davanti a sé. Era un provinciale al potere, non era un uomo dell'establisment: era educato, osservava con disincanto e detestava l'atteggiamento incattivito di tanti nel nostro Paese. Eddy era un uomo simpatico e rappresentava l'immaginazione al potere. Non amava Berlusconi certo, ma neppure con lui aveva ceduto alla cattiveria. Berselli era un uomo della carta dove è più facile esprimere una idea rispetto ai social network, inoltre non si sarebbe appecoronato su Monti, Letta e Renzi».
Conclude Angiolini: «Ho lavorato con lui al Mulino per tre anni e mi sono reso conto di com'era il suo archivio e il suo modo di procedere. Noi stavamo in una stanza non grande e la cosa che più mi colpì fu il suo archivio: uno può pensare che fosse una cosa classificata, invece era un cumulo di fogli messi uno sull'altro in ordine di arrivo. Era un finto disordinato, ma aveva capito l'inutilità di ogni complessità classificatoria». (s.l.)