Gazzetta di Modena

Modena

«Così Femia controllava i videopoker a distanza»

di Carlo Gregori
«Così Femia controllava i videopoker a distanza»

Le motivazioni del giudice che ha condannato per gioco d’azzardo il calabrese a capo di una rete di distribuzione di macchinette: ecco come le “guidava” a Carpi

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Dietro la distribuzione delle “macchinette” da bar, nella nostra provincia Nicola Femia ("Rocco") aveva creato almeno una sacca di gioco d’azzardo vietato che riusciva a pilotare e controllare a scopo di lucro utilizzando ignari giocatori. È quanto è emerso dalle motivazioni scritte dal giudice Francesco Cermaria che ha condannato a sei mesi di carcere il potente calabrese ora a processo a Bologna per associazione mafiosa insieme ad altri 13 imputati; stessa pena per Silvia Finesso (ma con pena sospesa) per la vicenda della sala giochi carpigiana Matrix 2, gestita da Noviello Epaminonda e Ioana Gurlui, finita sotto la lente della Squadra mobile della Questura di Modena con il circolo Royal di Castelfranco. La pena in apparenza esigua riguarda in realtà il reato di gioco d’azzardo, ma in questo processo non era tanto importante questo aspetto quanto la conclusione alla quale si è arrivati dopo aver ascoltato al ricostruzione degli investigatori su come “Rocco” Femia gestiva il gioco illegale.

Dalla ricostruzione processuale, scrive il giudice Cermaria, «emerge con chiara evidenza che l'imputato ha posto in essere un sistema di gestione parallela e concreta del gioco all'interno del circolo Matrix 2, utilizzando principalmente contatti telefonici con i gestori formali del locale, i quali lo avvertivano delle vincite dei giocatori e richiedevano il suo intervento per ricaricare il sistema on line, dal momento che un risultato positivo per il giocatore corrispondeva necessariamente ad una perdita per l'organizzazione. L'attività concretamente posta in essere dall'imputato è consistita, pertanto, nel controllo dell'attività illegale via internet nonché nell'intervento occulto operato sulle giocate degli avventori. Una condotta che non lascia dubbi in ordine alle agevolazioni offerte nell'amministrazione del gioco; la logica utilizzata è completamente opposta a quella del giocatore, dal momento che la ricarica dei pc e la gestione delle giocate era finalizzata a incentivare la ripetizione del gioco da parte dei giocatori». In altre parole, chi giocava ali videopoker con denaro, di per sé quindi sapendo che era azzardo, era in realtà all’oscuro di queste manovre di controllo a distanza di Femia che servivano solo a lucrare e di fatto costituivano un gioco vietato. Prosegue il giudice: «Risulta raggiunta la prova in ordine alla capacità lucrativa delle giocate medesime. Dagli elaborati peritali risulta, infatti, che le schede occultate all'interno delle slot non richiedevano alcuna abilità del giocatore, essendo il gioco, attivato in segretezza, del tutto automatico e caratterizzato da alea programmata. Il tempo delle singole giocate dipendeva solo dall'apparecchiatura e dal suo funzionamento stabilito». Le giocate alle macchinette “guidate” costavano da 50 centesimi fino a 4.50 euro l’una e nel sistema del “caso controllato” i vincitori potevano anche incassare. Da intercettazioni telefoniche risultano infatti vincite nell’ordine di 50-70mila euro. Quindi anche il vincitore aveva l’illusione di poter dominare il gioco. La realtà, come visto, era ben diversa. Quando alla Finesso, il suo ruolo getta altra luce su questa attività che Femia “guidava” da lontano. Scrive il giudice: «L' imputata in assenza dei gestori ha provveduto all'esperimento di tutte le operazioni di preparazione delle apparecchiature, dimostrando di conoscerne ed essere in grado di attivarne il funzionamento occulto ampiamente descritto in premessa ed, in particolare, di gestire i dispositivi videopoker e i pc attraverso l'impostazione e l'attivazione di radio comandi in grado di convertire i giochi da leciti ad illeciti. Appare evidente che il suo comportamento è da considerarsi del tutto accomunato ad una gestione di fatto, seppur limitata al funzionamento delle apparecchiature in loco e non anche all' intrusione all'interno del gioco (per questa ultima la Finesso si limitava a contattare i gestori, essendo perfettamente a conoscenza della procedura che si sarebbe attivata a seguito dell'avvertimento mediante l'intervento dell'imputato Femia)». Il processo modenese condotto dal giudice Cermaria costituisce quindi un primo spaccato tra un punto locale (la sala Matrix 2) e gli affari di Femia.