Trivelle e fracking, un business per pochi
Sisma. Report negli Usa registra tante critiche. Scaroni: «Qui non si farebbe». Rgs non molla su Rivara
Quello spiraglio aperto dalla commissione Ichese sul possibile (“non si esclude che”) legame tra le trivellazioni di Cavone e il terremoto del 20 maggio ha portato la comunità scientifica ad interrogarsi. Ma i fronti tra chi critica la ricerca spasmodica di shale gas, soprattutto attraverso la pratica del fracking e chi vorrebbe vedere estrazioni senza ricadute negative per il territorio sono troppo distanti tra loro. Di tutto ciò si è occupata anche la trasmissione Report di Rai 3 con un lungo servizio in buona parte girato negli Stati Uniti. Ma la miccia che ha innescato l’approfondimento parte dalla Bassa e da quel dubbio che la commissione Ichese ha insinuato. E nel lungo servizio si torna a parlare anche dello stoccaggio gas di Rivara. Mentre Lorenzo Preti del comitato Ambiente e Salute evidenzia come le ambizioni di Independent siano bloccate per i ricorsi pendenti al Tar, Simone Ferrari, manager della società finanziata prevalentemente da fondi inglesi, ribadisce la strategia sul maxi-deposito, confermando ancora le ambizioni di business. «C’è stata tutta una serie di passaggi autorizzativi - ha detto - dove alla fine tutti gli enti competenti tecnici, gli organi tecnici che sono previsti dallo Stato hanno dato un parere positivo. Perché? Perché in realtà l’attività sismica e lo stoccaggio convivono. In questo momento la maggiore preoccupazione che abbiamo è quella di prendere e dire “l’azienda ha operato correttamente, ha rispettato le leggi e ha fatto tutto quello che era previsto”. Ci muoviamo tra la scienza e le regole che fissa lo Stato».
Ma è soprattutto la ricerca di shale gas ad attirare l’attenzione di Report. Negli Usa chi vive vicino ai pozzi si sta ribellando (terreni incoltivabili, acqua contaminata, metano che esce dalle tubature, rischio incendi), ma l’affarismo delle compagnie petrolifere impera. Eppure, come spiega Leonardo Maugeri, ex manager di Eni e ora docente alla Harvard University, le compagnie sempre meno credono allo shale, anche perché i pozzi durano mediamente un anno. Eppure c’è chi continua a spingere in questa direzione. «Solo le grandi banche di investimento di Wall Street ci hanno guadagnato, commerciando in diritti di perforazione, parcelle su vendite e acquisizioni. Ci guadagnano gli alti dirigenti delle compagnie che hanno intascato i bonus. Ma l’investitore medio non ci ha guadagnato niente», ammette Deborah Rogers (ex consulente finanziario Merrill Lynch).
Ma lo shale gas piace tanto in Europa, come conferma Maugeri. Ma l’ex manager di Eni riscontra anche tanta incompetenza sul tema tra gli “esperti” del Vecchio Continente. In compenso l’ex amministratore delegato di Eni, Paolo Scaroni, parlando di fracking, ha annunciato che sia una pratica “non facile da ipotizzare nella pianura Padana”. E se lo dice lui...
Francesco Dondi