Femia, in aula nuove minacce a Tizian
Processo Black Monkey. Il boss delle slot contro il giornalista: questo processo è colpa sua, lui ha sbagliato e deve pagare
Il messaggio è chiaro e terribile: Giovanni Tizian la deve pagare. Nicola “Rocco” Femia, boss delle slot machine, parla in tribunale a Bologna: se io sono sul banco degli imputati, la colpa è di quel giornalista; se mi accusano di essere mafioso, la colpa è dei suoi articoli.
“Rocco” è il principale imputato del processo Black Monkey ed è indicato dall'accusa come il capo di una organizzazione criminale di stampo mafioso che ha fatto affari con il gioco d’azzardo. Lui si rivolge ai giudici e al pubblico, ma le sue parole hanno il sinistro aspetto di un messaggio diretto ad altri, a chi sta fuori dal carcere. Sembra quasi indicare un bersaglio: il mio nemico è Giovanni Tizian.
Non è la prima volta che il giornalista riceve pesanti minacce. C'era Femia al telefono quando, nel dicembre del 2011, lamentandosi con il suo factotum Guido Torello degli articoli di Giovanni Tizian pubblicati sulla Gazzetta di Modena, fu pronunciata la frase “Gli sparo in bocca ad è finita lì”. Una intercettazione shock: da allora per il giornalista è iniziata una vita sotto protezione che sembra non dover finire mai. Perché le ultime parole del boss suonano ancora più inquietanti. Nel 2011 Tizian era descritto da Femia come un fastidio; oggi come la causa di tutti i mali.
Femia aveva lanciato le stesse accuse in gennaio, durante una delle prime udienze: se i miei affari vanno male - aveva dichiarato - la colpa è sua; se mi accusano di essere un mafioso, la colpa è sua. Quattro mesi fa Femia aveva fallito: le sue affermazioni, verbalizzate, non erano uscite dall'aula di giustizia e non c'era il pubblico ad ascoltarle. Il messaggio non era passato. Così ieri “Rocco” ha giocato d'astuzia. D'altra parte, sa come vanno le cose nei processi: è già stato condannato in passato a vent'anni per narcotraffico.
Udienza pubblica, con giornalisti, una scolaresca, attivisti dell'associazione Libera. Femia chiede di poter rilasciare dichiarazioni spontanee. Poi si mette a leggere un memoriale di 34 pagine. Il presidente della corte d'Assise, Michele Leoni lo invitato a depositare il documento: “Lei lo può produrre e noi lo leggeremo”. Femia non desiste: “Io mi devo difendere, rispondo di cose inesistenti, qui ci sono anche degli studenti, voglio parlare altrimenti nessuno sa”. La Corte non cede e Femia allora smette di leggere e parla: “A me e ai miei figli (Rocco Maria Nicola e Guendalina, entrambi imputati e presenti in aula) ci hanno sequestrato tutto, ma io sono un imprenditore, un contribuente dello Stato, non sono mai stato condannato per il 416 bis”. Ossia per associazione mafiosa, reato di cui deve invece rispondere ora insieme con altri imputati. Femia prosegue: “È una vergogna. La mia coscienza è pulita. Mi devo difendere, non posso riassumere 14 mesi di ingiustizie. Pure le scimmie sui giornali”, dice riferendosi alla campagna di Libera con adesivi che ritraggono una scimmietta.
Poi l'affondo sul giornalista: “Ho avuto la custodia in carcere per un giornalista, non c'è una denuncia, non c'è un capo di imputazione. Un giornalista che organizza un processo.., per colpa sua io rispondo di un'ordinanza di custodia cautelare... lui deve girare con la scorta, ma dove sono le minacce? Se ho commesso un reato è giusto che paghi. Chi sbaglia deve pagare. Sbaglia Femia? Deve pagare Femia. Sbaglia il giornalista? Deve pagare il giornalista”.
Giovanni Tizian non commenta le parole di Femia. Ma sul piano della sicurezza, le cose potrebbero complicarsi ulteriormente, dopo due anni e mezzo di vita “sotto scorta”.
Giovanni Gualmini