“Devil’s knot”, la seduzione formale di Egoyan
Il regista canadese misura relatività della memoria e dispersione della verità in un giallo psicologico
FINO A PROVA CONTRARIA - DEVIL'S KNOT di Atom Egoyan. Usa 2013
Cinquantatreenne, nato in Egitto da genitori armeni, trasferitosi quasi subito in Canada, Atom Egoyan è uno dei pupilli dei festival cinematografici. I suoi film, a partire dall'esordio di “Next of Kin” (1984) sono quasi tutti dolenti riflessioni sulla famiglia, sulla memoria, sui difficili rapporti tra genitori e figli, sulle conseguenze ed elaborazioni di lutti e perdite dolorose. In "”Black Comedy” (1987), ad esempio, mette a confronto un padre immorale che filma le proprie fantasie sessuali, e un figlio indifferente. In “The Adjuster” (1991) narra la storia di una coppia bizzarra e del figlio. Ne “Il dolce domani” (1997) racconta di un incidente mortale che coinvolge la vita di una cittadina e rivela il lato nascosto della vita dei personaggi. “Il viaggio di Felicia” (1999) racconta l'incontro tra un serial killer inglese e una ragazza irlandese. Nei suoi film si ritrovano temi tipici (il voyeurismo, la sessualità, il desiderio) in una struttura narrativa che offre spesso una dimensione onirica. I personaggi sono bizzarri, ossessivi. Non fa eccezione “Fino a prova contraria”, ambientato nell'Arkansas del 1994 e che ruota, anch'esso, attorno a un fatto di sangue. Tre ragazzini vengono uccisi, abusati e affogati nelle acque del laghetto in un bosco. Vengono accusati del delitto tre adolescenti amanti del metal e appassionati di satanismo provinciale. Le famiglie delle vittime vanno in pezzi. Un investigatore privato non è convinto e ricerca un'altra verità. Un padre forse non è quello che sembra. Il film segue il processo e la condanna, diventando quasi un legal thriller. Egoyan misura la fallacia della memoria e la dispersione della verità, cercando la dimensione del giallo psicologico, un po' troppo catatonico (lo riassume il volto monodimensionale di Colin Firth) e televisivo per appassionare davvero. Egoyan, come sempre, esige dallo spettatore lo sforzo di scoprire. Il film propone una visione pessimista del mondo attraverso personaggi complessi; rifiuta spiegazioni lineari, nel presupposto che la verità non è mai univoca, dipende dai punti di vista; compone la sua narrazione in piani successivi che danno progressivamente una visione d'insieme; esplora i meandri della memoria (frequenti flashbacks), e soprattutto il fardello micidiale della famiglia e dei figli (in questo caso manca, almeno in apparenza, la sessualità, anzi è il grande rimosso del film). Il cinema di Egoyan osserva, frammenta, gioca più sulla seduzione formale che sull'identificazione emotiva. Appare freddo, lontano. In una società in cui rappresentazione e comunicazione s'incrociano, il regista sceglie piuttosto le zone d'ombra, le uniche a contenere una ipotesi di verità, libertà e rivelazione. Purtroppo, questa frigidità emotiva finisce per coinvolgere davvero pochino.