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I giudici: la Remat non può pretendere il maxi risarcimento

I giudici: la Remat non può pretendere il maxi risarcimento

RAVARINO. Remat non può pretendere un risarcimento da 24 milioni di euro se il Consiglio comunale ha votato una normativa che impedisce la costruzione di stabilimenti altamente inquinanti a 400 metri...

25 maggio 2014
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RAVARINO. Remat non può pretendere un risarcimento da 24 milioni di euro se il Consiglio comunale ha votato una normativa che impedisce la costruzione di stabilimenti altamente inquinanti a 400 metri dai centri abitati.

È un po’ questo il senso della sentenza depositata l’altro giorno alla cancelleria del Tribunale Amministrativo Regionale che chiude - almeno per il momento - il braccio di ferro tra l’azienda che voleva produrre a Stuffione premiscelati per aziende cementifere, siderurgiche e delle argille espanse, mediante la lavorazione di rifiuti provenienti da vari stabilimenti italiani che lavorano alluminio. Come si ricorderà, la ditta aveva acquistato un terreno chiedendo di costruire un magazzino, poi aveva inoltrato una richiesta di variante, per realizzare lo stabilimento. Le modalità poco rassicuranti e le informazioni assunte dai cittadini avevano innescato grande preoccupazione, tanto che il Consiglio comunale arrivò ad adottare norme per cui veniva preclusa la realizzazione delle industrie insalubri di prima classe ad una distanza inferiore di 400 metri dai centri abitati.

Contro il provvedimento, Remat ha presentato ricorso al Tar, chiedendo al contempo 24 milioni di euro (cifra in continua crescita) per i danni derivati dalla mancata realizzazione dello stabilimento. La società è stata sciolta, ma il ricorso al Tar non si è interrotto, fino all’udienza decisiva dell’8 maggio, e al conseguente deposito della motivazione.

Per i giudici “il Comune ha semplicemente operato una scelta discrezionale pianificatoria, diretta ad assicurare una distanza di almeno 400 metri tra gli stabilimenti insalubri di prima classe» e le abitazioni... «La mera attivazione di una procedura di Via non crea alcun affidamento da tutelare, nè risultava rilasciato alcun titolo edilizio concernente la realizzazione dell’industria insalubre di prima classe in quanto... il titolo edilizio rilasciato alla società ricorrente riguardava “un capannone industriale ad uso deposito-magazzino”...».

La notizia verrà accolta con soddisfazione anche dal comitato Castel Crescente, che per questa vicenda si è lungamente battuto contro certi immobilismi istituzionali. (ase)