Gazzetta di Modena

Modena

Il voto è mobile, anche qui...

di Enrico Grazioli

 M uzzaRenzi non ce l’ha fatta al primo colpo: sul filo di lana cade anche il tabù modenese del ballottaggio. Si farà, nonostante l’effetto trascinamento delle trionfali Europee del...

27 maggio 2014
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M uzzaRenzi non ce l’ha fatta al primo colpo: sul filo di lana cade anche il tabù modenese del ballottaggio. Si farà, nonostante l’effetto trascinamento delle trionfali Europee del premier: una sfida mai vista in città, tra l’assessore regionale Muzzarelli e il candidato grillino Bortolotti. Un duello che nasce ad armi apparentemente impari: ci sono 35mila voti di differenza al primo turno e ne sarebbe bastata una manciata al candidato Pd per riuscire in quello che era riuscito a tutti i suoi predecessori, chiudere i conti senza timori di trappole o bisogno di stringere nuovi patti nel volgere di quindici giorni.

Una non vittoria, per dirla alla Bersani? Anche. Anche se fino a domenica nessuno avrebbe scommesso a cuor leggero sul colpo da ko, memori tutti dello stiracchiato successo di Pighi 5 anni fa e delle turbolenze attraverso cui il Pd si è avvicinato al voto da prima delle primarie.

Ma l’onda montante renziana fino a tarda sera è sembrata sorreggere anche Muzzarelli, o appunto MuzzaRenzi, primo miracolo di colui al quale manca giusto solo di camminare sulle acque mentre già sa parlare al Nord, ai ceti produttivi, a uomini donne e bambini nel conquistare voti che a sinistra non sono mai andati.

Altrove: a Modena, per un pugno di consensi, non è andata così. Nell’elettorato mobile che ha sorpreso gli osservatori e sbugiardato i sondaggisti, quello modenese sembrava rimanere lì, fermo, ortodosso, fedele alla linea. Sembrava. Ma non è stato poi così. Perché il percorso che ha condotto il Pd a questa battaglia per il sindaco è stato complicato, mosso da correnti ora visibili ora sommerse. E le cifre di questo successo parziale, nulla di eccezionale se collochiamo il potenziale di Modena nella scena di questo storico 25 maggio, lo confermano. Un premio insperato per il volto pulito di M5S, distintosi per la pacatezza e la buona educazione nell’esprimere idee che non hanno comunque portato i grillini locali a far meglio di quanto raccolto nel resto d’Italia. Non si è dovuto prendere il Maalox, almeno: piuttosto ora dovrà far ricorso a qualche ricostituente per rendere incerto il faccia a faccia in calendario l’8 giugno... Eppure l’autoflagellazione rovinosa del centrodestra e il moltiplicarsi delle liste e dei personaggi in cerca d’autore potevano aiutare il centro sinistra. E con buon spirito Muzzarelli aveva cercato di sollecitare nell’elettorato modenese quel senso di fiducia in sé stessi e speranza contrapposto allo sfascismo della protesta colto e sprigionato trionfalmente da Renzi in tutta, ma proprio tutta l’Italia delle Europee. Ma ha dovuto farlo sul campo minato lasciato da un Pd che già non riceveva un’eredità di governo di cui andare particolarmente entusiasti e in più aveva dato il peggio di sé in occasione delle primarie. Senza poi avere l’umiltà, l’accortezza e la fatica politica di ricreare un’unità non solo di facciata. Fuori dalla ditta (per la quale altrove e per le Europee anche qui, hanno lavorato tutti o quasi) è rimasta ad esempio, orgogliosamente e senza strepiti, Adriana Querzè: vincitrice morale del voto di domenica, protagonista di un risultato personale che stupisce solo chi non ne conosce le doti umane e politiche, la sua capacità di relazione, amministrazione, innovazione. Un patrimonio su cui il Pd non ha riflettuto a sufficienza, tutto preso com’era dall’agitarsi di Francesca Maletti in nome del nuovo e di chi la voleva sindaco a tutti i costi, tutto impegnato a comporre una lista per il Consiglio comunale per la quale non bastava il Manuale Cencelli invece di provare a tessere intese che ne allargassero l’orizzonte senza snaturarne il progetto di governo, anzi.

E ora sarà Muzzarelli a dover ragionare su questo mezzo passo falso, che non è solo suo, anzi; e che potrà verosimilmente trasformarsi in una vittoria fra due settimane, ma che lascerà comunque il segno. Quando apparve sulla scena di Piazza Grande, un po’ catapultato dagli eventi e in ritardo rispetto a chi marciava già da mesi, rischiava di finire etichettato come la ruota di scorta della macchina del partito: l’usato sicuro che non scontentava la galassia dei piccoli e grandi poteri locali garantiti da decenni di continuità (ma anche di consociativismo e spartizione), il capitano di lungo corso di una barca che un po’ di acqua cominciava a farne. Solo in parte, larghissima ma per ora insufficiente, ce l’ha fatta a convincere i modenesi che cambiare, almeno un po’, forse si può anche con lui: senza rinnegare il passato (anche recente, anche grigio) di cui si è parte, senza rivoluzioni a parole, ma ripartendo da una storia individuale di pragmatismo e responsabilità. Insieme a un ritrovato senso di fiducia: ciò che manca da tempo a una città che in Italia e in Europa ci vuole stare da protagonista e non da comparsa o fondale di scena per chi coltiva ambizioni personali che non sempre collimano con il bene comune. E il voto, ci insegnava Moliere a teatro e ce lo ripetono tanta Europa e tanta Italia in queste ore, non lo si dà: piuttosto lo si presta. Ma non per sempre: anche a Modena. Che è in Europa, in Italia e non solo nella disponibilità di un certo Pd. Che forse non è ancora quello di Renzi.

Enrico Grazioli