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Fondazione Biagi: «Disponibili a dare i nostri atti alla Procura»

Fondazione Biagi: «Disponibili a dare i nostri atti alla Procura»

I Nas acquisirono i documenti del Policlinico sui contributi del Dg Cencetti per dottorandi all’istituto La direzione replica: «Si vuole infangare il nostro nome. Abbiamo sempre agito rispettando la legge»

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All’inizio dell’indagine, i Nas hanno acquisito dal Policlinico i documenti riguardanti i rapporti con la Fondazione privata “Marco Biagi” in merito ai contributi forniti dall’ospedale sotto la direzione generale di Stefano Cencetti, al centro della grande indagine in corso in Procura su ipotesi di corruzione e tangenti per gli appalti .

La notizia è stata pubblicata dalla “Gazzetta” sottolineando che non è noto nulla sul destino successivo di questi documenti acquisiti e vagliati dai Nas e poi passati ai due magistrati della Procura di Modena che indagano. La Fondazione ora afferma che si vuole gettare fango sul suo buon nome e inoltre si dice disponibile a fornire alla Procura i documenti che servono.

Infatti, secondo le testuali parole della “Fondazione Marco Biagi” stessa, «se richiesti, siamo pronti a mettere gli atti in nostro possesso a disposizione della magistratura, poiché siamo certi di aver agito alla luce del sole e nel rispetto della legge. Ci auguriamo al riguardo che anche gli inquirenti non legittimino che il nome della Fondazione Marco Biagi venga infangato».

La Fondazione ha poi diffuso un testo esaustivo per ripercorrere i rapporti con il Policlinico a proposito delle borse di studio. «La Fondazione Marco Biagi è una struttura universitaria di diritto privato, che in quanto tale ha affidata dall'Università, in base a trasparenti accordi tra le parti, la gestione ed organizzazione anche di attività didattiche e formative, quali master, corsi di perfezionamento e dottorati di ricerca, nel caso specifico la Scuola di dottorato in Relazioni di Lavoro, istituita dall'Università sulla base di deliberazioni adottate dal Senato accademico e dal Consiglio di amministrazione. I corsi di dottorato - si legge nel testo della nota diffusa ieri -sono percorsi di ricerca post-laurea che hanno durata di un triennio e sono retribuiti attraverso borse di studio che, per legge, possono essere finanziate da imprese ed istituzioni esterne all'Università, pubbliche o private, mediante la sottoscrizione di convenzioni con l'Università stessa».

Nel caso specifico, il Policlinico ha deciso di «finanziare, negli anni, quattro borse di studio, dell'ammontare di 60mila euro ciascuna (pari al lauto compenso dei dottorandi, che è di 20mila euro all'anno per tre anni), ma l'ultima di queste si è interrotta dopo il primo anno poiché il candidato che se l'era aggiudicata ha trovato un impiego fisso».

«Un valore complessivo pari quindi a 200mila mila euro, che è transitato attraverso la Fondazione Biagi per essere girato all'Università in quanto è l'Università che eroga mensilmente le borse ai dottorandi. Le sopraddette borse di studio hanno sostenuto progetti di ricerca in tema di “benessere e lavoro” - un obiettivo contemplato anche nel Pal approvato da Provincia e Comuni - e in tema di “Gestione delle risorse umane in sanità”, anch'esso mirante al miglioramento della qualità del lavoro nell'azienda». Prosegue la direzione della Fondazione: «La selezione dei candidati che ogni anno fanno domanda è effettuata, ad ogni edizione, tra novembre e dicembre da una Commissione di docenti universitari, uno dei quali esterno, sulla base di criteri specificati nel bando. E non può che essere stato così, anche, per la presunta “parente perugina di Cencetti”. Dove è lo scandalo? Si dubita del rigore della Commissione?».

La Fondazione, inoltre, non ha ricevuto alcun contributo dal Policlinico di Modena per l'organizzazione dei convegni di cui si fa cenno nell'articolo: né quello su “Benessere e Lavoro”, né quello sul “Malato oncologico”, in verità organizzato in collaborazione con tutte le associazioni di volontariato del settore oncologico. Quanto all'affermazione che “non è evidente l'utilità di questi studi” lo riteniamo un giudizio arbitrario».