Benzinai in sciopero «Vogliono eliminarci ricavi troppo bassi»
Altre chiusure di impianti: in città ne sono rimasti aperti 66 Crollano le vendite da 1,4 a 1 milione di litri. Profitti risicati
“Chiudiamo oggi per non chiudere per sempre”: il cartello viene tirato fuori dal cassetto per l’ennesima volta e il benzinaio sospira mentre lo attacca alla cabina.
«Ormai lo tengo sempre nel cassetto, come il corno antimalocchio» dice amaro mentre si avvicina a un’ auto e apre lo sportellino del serbatoio. Per lui, gestore con molti anni di carriera alle spalle («Troppi» ironizza) lo sciopero di ieri che ha chiusi gli impianti modenesi è il canto del cigno di una categoria destinata a sparire.
Ieri ha partecipato volentieri alla giornata di sciopero che ha chiuso molti degli impianti sulle strade modenesi. Quanti per l’esattezza? Fonti sindacali della Faib Confesercenti parlano di adesioni superiori al 40%, altri parlano di un terzo. Ma già nei numeri c’è la fotografia di un settore in crisi, anche nella nostra provincia, che dicono molto più delle dichiarazioni ufficiali.
L’Unione Petrolifera, l’associazione che raggruppa il blocco delle compagnie petrolifere, continua a martellare, come fa da anni, sulla riduzione del numero degli impianti che permetterebbe la riduzione dei costi e l’aumento dei margini per i gestori. Sono loro infatti l’anello debole della catena, quelli che ricevono gli impianti in comodato e li gestiscono con oneri e tasse per ricavare quello che serve a far quadrare i conti. Anticipano i soldi per il carburante, ad esempio, litigano con le banche per le commissioni sui pagamenti con le carte di credito e assieme a tutto il resto devono farlo con gli incassi: 4,2 centesimi al litro, 80 lire del vecchio conio. Compenso fisso, niente aumento automatico con l’impennata dei prezzi alla pompa. Dieci anni fa, per dire, erano di 3,7 centesimi.
Peccato che a Modena l’erogato medio per ogni impianto sia crollato negli ultimi dieci anni da 1, 4 milioni di litri a un solo milione; se va bene, perché molti impianti galleggiano attorno ai 900 mila litri.
E allora si chiude. Troppo alti i costi e i rischi, compresi balordi e ladri che cercano soldi facili; troppo bassi i ricavi dove il prezzo finale della percentuale è sempre fissa.
Su via Emilia Est, da largo Garibaldi alla tangenziale, prima c’erano dieci impianti, ora sono di fatto spariti. E così pure via Ciro Menotti, che negli anni ’50 e ’60 era diventata famosa nel mondo perché ospitava ben quattro distributori nel chilometro che collegava la Ferrari alla Maserati. Collaudatori, ma anche piloti, si incrociavano al momento del pieno e si scambiavano battute e sfide. Ora di quell’universo restano poche foto in bianco e nero, l’ultimo distributore ha chiuso pochi anni fa e in quel fazzoletto di asfalto hanno tirato su un palazzone.
Conti alla mano a Modena sono rimasti 76 aperti (nel 2000 erano il doppio) di cui 66 sono quelli attivi e molti sono il risultato di accorpamenti e fusioni. Di questi la metà scarsa sono in mano ai gestori che cercano di fare attività d’impresa offrendo anche servizi accessori, dal montaggio gomme al lavaggio. Gli altri sono delle compagnie o di piccoli distributori indipendenti.
Ed è qui che spuntano i distributori completamente automatizzati, senza benzinai, con prezzi più bassi e aperti 24 ore su 24. «Questo è il modello ideale dei petrolieri - mette in guardia Franco Giberti, presidente Faib - Vogliono far fuori i gestori e scaricare tutti problemi sugli utenti». I petrolieri alzano le spalle: «In Italia - dicono - ci sono 24 mila impianti. Sono troppi, ne bastano 15 mila». Modena, da questo punto di vista, sta facendo da apripista a questa tendenza.