Rendite finanziarie, c’è l’aumento
Il prelievo si applica sui guadagni realizzati. I prodotti che restano esenti dal nuovo incremento
Dal primo luglio aumenta dal 20 al 26% l'aliquota che si applica a gran parte delle rendite finanziarie per decisione del governo Renzi. Una misura che fa da corollario all’imposta di bollo decisa dall'esecutivo Monti e al precedente innalzamento del prelievo dal 12,5 al 20% disposto nel 2011 dal governo Berlusconi. A conti fatti un risparmiatore rischia di vedersi sottrarre dal Fisco, in alcuni casi, quasi il 40% di quanto ottenuto investendo il suo piccolo o grande gruzzolo.
Vediamo nel dettaglio. Da domani i guadagni realizzati con una lunga serie di prodotti finanziari subiranno un aumento del prelievo dal 20 al 26%. In pratica si salvano solo i titoli di Stato italiani o esteri purché di Paesi inseriti nella "white list" (in pratica tutti tranne i paradisi fiscali) per i quali l'aliquota rimane invariata al 12,5%. Salvi i proventi dei buoni fruttiferi postali (12,5%) e i fondi pensione, che conservano una tassazione all'11%. Il bonus concesso a chi possiede titoli di Stato si estende ai fondi comuni solo per la parte in cui siano investiti in questi prodotti. Gli interessi maturati su tutti gli altri investimenti subiscono l'aumento del prelievo. Aumenteranno i prelievi su conti correnti bancari e postali, conti deposito, azioni, obbligazioni, derivati, fondi comuni, etf, polizze vita, gestioni patrimoniali.
È sempre bene ricordare che il prelievo si applica sugli eventuali guadagni realizzati, non sul capitale investito (a quello ci pensa già l'imposta di bollo). A titolo di esempio, se ho comprato 1.000 euro in azioni della società Y e le rivendo a 1.100, prima ne pagavo al fisco 20 (e ancora prima 12,5), ora ne dovrò versare 26. Curioso notare come, in una fase in cui il governo continua a rimproverare banche e istituzioni finanziarie per la scarsa erogazione di crediti alle imprese, si adotti una politica fiscale che non va certo a favorire le modalità alternative con cui queste stesse imprese posso finanziarsi. Infatti questa "spintarella" ai titoli di Stato, a scapito di obbligazioni societarie e azioni, non va certo nella direzione di agevolare il ricorso al mercato. Nessuna via d'uscita per chi ha azioni, obbligazioni e quote di fondi comuni.
Come in tutte le fasi di transizione si apre una serie di problematiche che in alcuni casi possono mettere il risparmiatore di fronte a scelte non semplici. Il passaggio alla nuova tassazione avviene infatti in modo differente a seconda delle modalità con cui vengono incassati eventuali guadagni o perdite. Per i dividendi pagati dalle azioni il meccanismo è semplice e c'è poco da fare.
Se corrisposti prima entro il 20 giugno i dividendi subiscono un prelievo del 20%, dal primo luglio in poi del 26%. Sugli interessi di conti correnti e obbligazioni vale invece il principio di maturazione, vale a dire che quelli maturati prima di luglio vengono tassati al 20%, quelli maturati dopo al 26% in automatico. Nessuna scelta da fare neppure per chi ha quote di fondi comuni, etf o gestioni patrimoniali, visto che tutti i calcoli sulle diverse aliquote da applicare in base al periodo in cui i profitti sono stati realizzati vengono effettuati automaticamente dal gestore.
Chi invece ha comprato direttamente o attraverso un dossier titoli azioni o obbligazioni dovrà scegliere personalmente se "congelare" la sua situazione al 30 giugno ricorrendo al cosiddetto affrancamento. Versare cioè l'aliquota del 20% sui profitti maturati sino a quel momento e poi passare alla tassazione del 26% su eventuali guadagni ottenuti dal primo luglio in poi. Se non si opta per questa soluzione i profitti derivanti dall'aumento del valore dei titoli (capital gain) verranno tassati al 26% al momento della vendita indipendentemente dal periodo in cui sono stati realizzati. La scelta non è però così scontata: "affrancandosi" si pagano subito e in anticipo delle tasse su profitti teorici che non si è certi di realizzare davvero in futuro. Si pensi all'ipotesi che nei mesi seguenti al versamento il valore di un titolo in portafoglio abbia un forte calo annullando i guadagni realizzati. Senza arrovellarsi troppo con calcoli e previsioni ecco alcune indicazioni pratiche: se tutto il dossier titoli è in perdita affrancarlo non ha senso. Indicativamente l'affrancamento conviene se il dossier titoli è prevalentemente in guadagno e se ci si attendono ulteriori aumenti del valore dei titoli in futuro. Per concludere. Con le ultime modifiche i risparmiatori italiani si inseriscono a pieno diritto tra i più tartassati al mondo. Un esempio numerico chiarisce come il prelievo effettivo sia ben oltre la nuova aliquota "ufficiale" del 26 per cento. Immaginiamo di investire 10 mila euro e ottenere un rendimento del 3% in un anno con un profitto di 300 euro. A questa somma devo sottrarre il 26%, ossia 78 euro. C'è poi l'imposta di bollo dello 0,2 per mille che si applica sull'intero capitale investito e che in questo caso vale 20 euro. Alla fine pagherò dunque all'erario 98 euro, il 32,6% dei miei guadagni. Se il rendimento in un anno fosse del 2% il prelievo sarebbe di 72 euro, pari al 36% dei profitti. Senza contare la Tobin tax dell'1 per mille che si applica in caso di vendita di titoli di società italiane.
Giorgio Guandalini
dottore commercialista
revisore contabile