«Se il mafioso parla in modenese»
Grande folla al dibattito alla Festa dell’Unità con la Bindi, Muzzarelli e Tizian
«Siamo ancora convinti che la mafia o il mafioso deve parlare per forza calabrese o campano. Finiamola con questi stereotipi. Vi ricordo che uno dei più importanti sicari si chiamava Paolo Bellini ed era di Reggio Emilia». Con tutta probabilità, una delle frasi che più coglie il senso della serata. A pronunciarla sul palco della Festa de l’Unità modenese è Giovanni Tizian, giornalista del Gruppo Espresso, già collaboratore della Gazzetta di Modena.
Nella stessa giornata in cui la Commissione antimafia sbarca per la prima volta a Bologna, Ponte Alto, un po’ per cogliere l’occasione un po’ per celebrare l’evento, ospita “Le Mafie in Valpadana”, dibattito sull’infiltrazione delle mafie al Nord. Sul palco, oltre a Tizian, Rosi Bindi presidente della Commissione parlamentare antimafia, ma anche Stefano Vaccari, parlamentare Pd e membro della stessa commissione, il sindaco, Giancarlo Muzzarelli e il coordinatore regionale di Libera. Dall’altra parte del palco, una “Sala Europa” strapiena: decine e decine di persone che occupano tutta la platea, gli “spalti” e che assistono ai lati, in piedi. La tematica di fondo – la presa di coscienza del progressivo radicamento della realtà mafiosa sul territorio locale- è chiarita fin dalle prime battute dalla Bindi. «Bisogna combattere la sottovalutazione del fenomeno. Lo conosciamo troppo poco, lo neghiamo», li consideriamo casi isolati. «No, loro stanno dove stiamo noi, e questo in Italia non lo abbiamo ancora capito». Certo, il mondo dell’associazionismo è cosciente ed aiuta.
Ma da più parti quest’attenzione manca: a volte per una colpevole sottovalutazione del fenomeno, a volte in maniera un po’ più “interessata”. Lo stesso Tizian, sotto scorta dal dicembre 2012 a causa dei suoi articoli sulle associazioni mafiose, ricorda come l’impegno nel contrasto alle organizzazioni criminali non sia sempre così scontato. Racconta, ad esempio, come una parte della politica – e di alcune associazioni di categoria – abbia criticato apertamente gli strumenti anti-clan. Eppure, spiega ancora la Bindi, «gli inserimenti sono un dato ormai acclarato, non si tratta più di dati isolati». In più, la loro presenza è affermata dalle infiltrazioni nella ricostruzione post-terremoto, nonostante gli appelli e l’impegno delle Prefetture. La presidente della Commissione dipinge uno scenario grave: il radicamento, tutt’altro che superficiale, delle diverse organizzazioni criminali.
Di più, «qui si è organizzato un patto tra le varie mafie, di non belligeranza». All’Emilia Romagna concede un’unica nota positiva. Un «dato che oggi – ieri per chi legge, ndr - è emerso con molta chiarezza». E cioè, che «al contrario delle altre regioni del Nord, qui sembra resistere una tradizione di buona amministrazione, capace di opporsi alle mafie». Tradotto, al momento in regione non si registrano scioglimenti di comuni causati da infiltrazioni mafiose, nonostante l’ambiguo caso di Serramazzoni. Un dato nient’affatto scontato, considerando che poco più a nord, in Lombardia, episodi di questo tipo hanno dominato le cronache. Il che non vuol essere un invito ad abbassare la guardia. Anzi. Il mantra della serata - «bisogna prendere coscienza che la mafia è anche qui» - viene ripetute continuamente. Anche perché, ricorda Tizian, qualche contatto tra politici e mafiosi è stato tentato anche dalle nostre parti.