«Sono i piccoli Comuni i più esposti alle mafie»
Autorità locale e Rosy Bindi (Commissione Antimafia) d’accordo sul radicamento Il sindaco: «Nella nuova Provincia serve una stazione unica appaltante anti-clan»
Le mafie a Modena ci sono e sono radicate, anche se non hanno mai commesso omicidi. Vivono di estorsioni, usura e giochi d’azzardo (leciti o manipolati). Modena e Reggio hanno il triste primato di infiltrazioni mafiose in regione e uno dei più alti del Nord, come riportato dal Primo rapporto trimestrale sulle aree settentrionali dell’Osservatorio criminalità organizzata (anticipati dalla “Gazzetta” alcune settimane fa), ma le mafie si possono snidare e combattere. Bisogna conoscerle e unirsi, ognuno in base alle proprie conoscenze e interessi.
[[atex:gelocal:gazzetta-di-modena:modena:cronaca:1.9965872:Video:https://video.gelocal.it/gazzettadimodena/locale/mafie-a-modena-la-guardia-non-si-puo-abbssare/35212/35434]]
Questa idea del “noi”, espressa dal presidente del Consiglio comunale Maletti, è stata il riassunto corale di tutti gli interventi all’incontro di ieri in Comune con l’onorevole Rosy Bindi, presidente della Commissione Antimafia, proveniente da un identico incontro a Bologna. Difficile riassumere due ore e mezzo di interventi di varia natura: hanno parlato, oltre alla Maletti, il prefetto di Bari, il procuratore aggiunto Musti, il sindaco Muzzarelli, il senatore Vaccari (sempre in Commissione), più Borghi di Libera e Zavatti di Cgil. Il tema comune è stato la constatazione preoccupata che la mafia si radica e diffonde più facilmente nei piccoli Comuni, anche ad alta densità abitativa. Sia per motivi storici (un tempo ci finivano soggiornanti obbligati e sorvegliati speciali con le loro famiglie) sia perché danno meno nell’occhio e riescono a stringere conoscenze e legami. Lo sforzo delle forze dell’ordine, i loro coordinamenti, le indagini dell’antimafia e, per reati in qualche modo connessi, della Procura di Modena sono cresciuti parallelamente a esperimenti importanti dopo il sisma del maggio 2012, a cominciare dalla White List. Lo ha ricordato il prefetto illustrandone i risultati positivi. A questo proposito, per combattere infiltrazioni da eccessi di ribasso, il sindaco ha sottolineato un possibile utilizzo importante della Provincia riformata: «Valorizzando l’esperienza pluriennale dell’Osservatorio modenese degli appalti pubblici fino ad arrivare a una centrale unica degli appalti o a formule intermedie che non lascino soli i Comuni minori».
[[atex:gelocal:gazzetta-di-modena:modena:cronaca:1.9965869:gele.Finegil.StandardArticle2014v1:https://www.gazzettadimodena.it/modena/cronaca/2014/09/20/news/se-il-mafioso-parla-in-modenese-1.9965869]]
Nel suo intervento, la Bindi ha sviluppato alcuni punti importanti dell’analisi, finora poco noti. Questo nemico invisibile e in perenne trasformazione che è la cosca cerca sempre di condizionare l’amministrazione locale e di infiltrarsi nell’economia. Proprio per questo chi fa prevenzione non può seguire i normali tempi della giustizia e aspettare sentenze definitive. «Bisogna tornare al metodo La Torre», ha detto riferendosi alla ricerca sul campo dei dati sull’infiltrazione con nomi e cognomi e contatti con associazioni, ordini, società civile: «Dobbiamo diventare tutti ricercatori per capire dove si annida la mafia», ha detto. La clonazione delle mafie al Nord - soprattutto della ndrangheta - procede con logiche proprie che sono già quelle della globalizzazione avanzata. Logiche che però partono sempre da un punto fermo: i valori delle radici sono immutabili. Religione e famiglia sono strumentalizzati e chi comanda è sempre la famiglia del paese di origine nel Sud. La cellula nel Modenese, ad esempio, è quindi un trapianto che non vive mai autonomamente ma prende ordini dalle terre di origine. E vivere e riprodursi a Modena, come a Reggio e altre realtà sviluppate, significa che l’interfaccia della mafia non si perpetua solo nel lavoro di bassa lega, quello “sporco” dell’estorsione e dell’usura, dell’incendio della minaccia, ma soprattutto nella ricerca di contatti e nella loro gestione nel mondo dei professionisti e il loro utilizzo nel riciclaggio in attività pulite. Attività, ha sottolineato il procuratore aggiunto Musti (per anni alla Dda di Bologna) che spesso fanno dell’imprenditore nelle mani degli usurai mafiosi un semplice burattino, una volta inglobata l’azienda».