Gazzetta di Modena

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«La legge regionale condanna a morte i piccoli Comuni»

«La legge regionale condanna a morte i piccoli Comuni»

Il vicesindaco di Montefiorino dopo la protesta nazionale: «Si deve cambiare, così si esautorano gli amministratori»

23 settembre 2014
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MONTEFIORINO. «Questa legge regionale uccide i piccoli Comuni ed esautora gli amministratori locali, accentrando il potere decisionali altrove. Così ci si dimentica delle esigenze reali dei piccoli centri, condannandoli all’oblio». Con queste durissime parole il vicesindaco di Montefiorino, Maurizio Paladini, interviene sulla questione della riorganizzazione dei Comuni al di sotto dei tremila abitanti che già aveva portato ad una manifestazione nazionale di protesta a Roma alcuni giorni fa. Sono tanti i sindaci e gli amministratori dei piccoli Comuni italiani che stanno alzando la voce per protestare contro la «deriva» dell’accorpamento, come dicono molti. E Paladini, già sindaco del piccolo Comune appenninico nella precedente legislatura, non si rassegna. «La nuova assemblea regionale dovrà assumere urgenti e opportuni provvedimenti legislativi di modifica alla legge 21 del 2012, per evitare che in pochi anni scompaiano i Comuni appenninici dell’Emilia Romagna, con popolazione inferiore a 3.000 abitanti - dice Paladini - E pensare che in molti avevano sostenuto e annunciato con enfasi i principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza che ispiravano la legge, attraverso i quali drenare le risorse da destinare al riequilibrio del territorio, avviando percorsi virtuosi in grado di garantire ai più deboli di recuperare il terreno perduto. Una grande opportunità per il rilancio della montagna. A pochi mesi dall’entrata in vigore, la legge evidenzia risultati esattamente contrari. Le risorse, sempre più ridotte, sono spalmate su un territorio più vasto e distribuite su un maggior numero di abitanti, penalizzando in questo modo le aree più emarginate e spopolate, il cui tessuto socioeconomico è già fortemente compromesso. L’obiettivo però è chiaro: cancellare, con poco rumore, i troppi Comuni sotto soglia, ai quali nessuno, né Stato né tantomeno la Regione, sono in grado di trasferire le risorse necessarie a sopravvivere. Ci impongono per legge un ambito ottimale, spesso disomogeneo, all’interno del quale gestire in forma associata almeno quattro delle funzioni indicate dalla Regione e invece tutte le funzioni per i Comuni con meno di 5.000 abitanti, ovvero meno di 3.000 se appartenenti o appartenuti a Comunità Montane. Ciò significa espropriare gli amministratori delle responsabilità per cui essi sono stati eletti. Tutto in barba alla Costituzione che all’articolo 44, ultimo comma, stabilisce che “la legge dispone provvedimenti a favore delle zone montane”. All’articolo 129 (abrogato con la tanto discussa riforma del Titolo V) recitava: “Le Province e i Comuni sono anche circoscrizione di decentramento statale e regionale”. Altri tempi! A quell’epoca i Comuni, di qualsiasi dimensione, rappresentavano la cellula di base attraverso la quale lo Stato faceva sentire la sua presenza e vicinanza ai cittadini e, non solo per incassare le sacrosante tasse dovute, ma anche per istituire e sostenere quei servizi indispensabili alla loro vita, a prescindere dalla loro residenza di montagna, di pianura o di città».