Liberato il tecnico della Piacentini rapito
Fonti libiche: pagato un milione. Vallisa venne preso in luglio a Zuwara dove la ditta modenese sta realizzando il porto
Un incubo durato oltre quattro mesi terminato l’altra notte. Marco Vallisa, il tecnico della Piacentini costruzioni rapito in Libia è stato liberato. L’Ansa ha battuto la notizia verso le tre del mattino rompendo così il lungo “sonno” di silenzio in cui, sin da subito, era stata calata l’intera vicenda. Non poteva essere altrimenti: una situazione delicatissima, immediatamente gestita dalla Farnesina non appena l’imprenditore modenese Dino Piacentini avvisò della scomparsa-rapimento di tre suoi dipendente.
Ora Marco Vallisa è libero: il tecnico italiano, rapito in Libia il 5 luglio, non è più in mano ai sequestratori. Per lui, secondo l’agenzia France Presse che cita una fonte libica anonima, sarebbe stato pagato un riscatto di quasi un milione d’euro. Secondo la fonte, Vallisa è stato tenuto prigioniero da un gruppo armato di cui non ha fornito l'identità. Cinquantaquattro anni, originario di Roveleto di Cadeo in provincia di Piacenza, dove ieri, non appena si è diffusa l’attesa notizia il parroco ha suonato le campane in segno di festa, Vallisa era da circa tre mesi impegnato in un cantiere della ditta modenese “Piacentini Costruzioni” guidata da Dino Piacentini e che ha sede a Montale di Castelnuovo. Vallisa fu rapito assieme a due colleghi: il bosniaco Petar Matic e il macedone Emilio Gafuri che vennero liberati dopo pochi giorni.
La vicenda ebbe come teatro la città costiera di Zuwara, nell'ovest della Libia, dove la Piacentini Costruzioni, assieme a diverse imprese del collegio edili Aniem di Apmi, sta lavorando per la ricostruzione e l’ammodernamento del porto libico di Al Zawra, nei pressi del confine tunisino, per un importo che si aggira intorno ai 37 milioni di euro. Tra le ditte impegnate la Granulati Donnini spa di Modena e la Cesare Turchi di Rubiera. Per la gestione della commessa il management e la direzione tecnica sono italiani, mentre le maestranze sono state reperite in loco. La notizia della scomparsa venne inizialmente diffusa dal Libya International Channel e poi successivamente confermata dall’Italia: Vallisa e i due colleghi erano nella città costiera di Zuwara, una città nota per il traffico illegale di immigrati e dalle cui coste tentano di emigrare migliaia di clandestini verso l'Europa. La loro macchina di servizio fu ritrovata di fronte casa con le chiavi inserite nel quadro. E poi più nulla, nessuna notizia, nessun segnale. Iniziarono le ipotesi, Dino Piacentini affermò subito che alla ditta non erano mai arrivate rivendicazioni, nè richieste di riscatto. Le autorità di Zuwara si attivarono nelle ricerche, poi la vicenda assunse connotati più precisi, quelli di un rapimento probabilmente solo per ragioni economiche (l’area era lontana dai conflitti della capitale). Da allora, da quei giorni di luglio, sulla vicenda fu imposto il silenzio. Dalla rivoluzione del 2011 che ha deposto Gheddafi, la Libia è teatro di rapimenti quasi giornalieri di membri delle forze di sicurezza, attivisti, giornalisti, giudici libici ma anche civili e stranieri, spesso perpetrati a scopo di riscatto. E la situazione, man mano che i mesi passavano, nel paese nordafricano è andata sempre più precipitando: anche la situazione dell’intera Libia è un incubo mentre impazza la lotta tra il parlamento “laico” di Tobruk, riconosciuto dalla comunità internazionale ma dichiarato illegittimo dalla Corte Suprema a Tripoli, e gli islamisti che controllano la capitale. Un susseguirsi di attentati, solo l’altro giorno un'autobomba è esplosa davanti all'ambasciata d'Egitto a Tripoli.
Ora Vallisa è a Roma, ha abbracciato i familiari e sarà ascoltato dai pm per chiarire le circostanze del sequestro.