’Ndrangheta, tutti gli affari tra cantieri ed estorsioni
Dalla bomba di Sassuolo fino al business della ricostruzione post terremoto Così magistrati e carabinieri hanno decapitato l’organizzazione criminale
Era il 26 luglio 2006 e l’Agenzia delle Entrate di Sassuolo saltò in aria. Una bomba devastò la sede e nel 2010 le indagini avviate dai carabinieri arrivarono ad una conclusione con l’arresto di Paolo Pelaggi, Fiore Gentile, Tommaso Gentile, Giuseppe Manica, Davide Pelaggi, Emanuele Pelaggi e Sergio Pezzatti. Era la famosa operazione “Point Break” messa a segno dalla Dda regionale, lo spartiacque che segna l’inizio della lotta alla ’ndrangheta emiliana e che scoperchia gli affari tra Modena e Reggio.
È invece il 28 gennaio 2015 che lo Stato assesta un colpo mortale al potere calabrese nella nostra terra mettendo a segno, con un blitz notturno, 117 arresti. L’operazione si chiama “Aemilia”, è coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia ed impiega centinaia di carabinieri, guidati dal comando provinciale di Modena. Nell’avviso di fine indagini, inviato nei giorni scorsi ai 224 indagati, sono ben 54 quelli accusati di associazione di stampo mafioso, oltre ad otto accusati di associazione esterna. Tra questi spiccano i modenesi Augusto Bianchini e la moglie Bruna Braga, il giornalista Marco Gibertini, il consigliere comunale reggiano Giuseppe Pagliani e la commercialista bolognese Roberta Tattini, colei che si vantava di aver incontrato Nicolino Grande Aracri, il boss della ’ndrina che comanda in Emilia.
Mettono le mani su tutto gli ’ndranghetisti. Hanno la disponibilità di armi, tante e pronte per essere usate; utilizzano la loro forza associativa per effettuare estorsioni, recupero crediti e prestare soldi a tassi usurai. Provano - e secondo l’accusa ci riescono - ad indirizzare le elezioni amministrative “in cambio di future utilità e comunque ricercando contatti e stringendo patti con politici ed esponenti istituzionali in grado di favorire il consolidamento della presenza dell'associazione nel territorio”. Ambiscono ad ottenere il potere sulle piccole comunità locali, allargando il raggio di influenza, utilizzando l’immensa disponibilità di denaro di cui godono. E proprio con i soldi non solo scalano le imprese “pulite” in difficoltà, ma ne diventano di fatto proprietari oppure - come accade con la Bianchini Costruzioni - ne indirizzano l’andamento, imponendo assunzioni e strategie.
E mentre la ’ndrina spadroneggia, ecco che il terremoto che devasta la Bassa diventa una fonte di business.
«Ah...l’hai sentita l'altra scossa? Uhhh...a Carpi pure...pure fino a Cavezzo... stanno facendo una proposta di fare tutto di legno... dobbiamo preparare tutte le società... quattro società sicure!... secondo me dobbiamo iniziare a lavorare... già un paio di cutresi sono andati prima di noi... Che noi parliamo e quelli fanno», dicevano ridendo Gaetano Blasco e Antonio Valerio, ossia due dei capi dell’organizzazione.
Difatti, attraverso la Bianchini, la ’ndrina entra negli affari della ricostruzione. E qui scende in campo il geometra di Finale, Giulio Gerrini, accusato di abuso d’ufficio per aver permesso all’impresa sanfeliciana di aggiudicarsi appalti e commesse anche dopo l’esclusione dalla white list.
Ma la forza dell’associazione emiliana è ben rappresentata dalle parole del procuratore nazionale Antimafia Franco Roberti, che così sintetizzava il blitz di gennaio: «Un risultato storico, senza precedenti. Io non ricordo a memoria un intervento di questo tipo contro un’organizzazione criminale forte, monolitica, profondamente radicata nel territorio emiliano. Era la propaggine della locale di ‘ndrangheta di Cutro, che si era profondamente radicata nel territorio. L’elemento nuovo è l’imprenditorialità nel rapporto con il territorio, con il tessuto sociale e con l’informazione. Questi soggetti tendevano a controllare l’informazione, tendevano a controllare le istituzioni, tendevano a corrompere soggetti all’interno delle forze dell’ordine, tendevano ad avere rapporti con la politica e la pubblica amministrazione. Erano gli stessi componenti dell’organizzazione mafiosa, che provvedevano ad emettere false fatturazioni, che servono per coprire affari illeciti e a costituire fondi neri utili per il pagamento di tangenti».
Una “metastasi”, come la definì il procuratore capo della Dda di Bologna, Roberto Alfonso, che si è presa l’Emilia.
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