Gazzetta di Modena

Modena

Festival Filosofia 2015

Il “classico” Heidegger ci indica una soluzione per il vivere quotidiano

di Daniele Bondi

Lezione inaugurale in piazza XX per Donatella Di Cesare tra conformismo, autenticità e inautenticità dell’uomo

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«L’elemento nuovo della Filosofia di Heidegger sta nel suo carattere “performativo” in quanto propone una soluzione pratica per la nostra vita quotidiana». È questo il cuore della lezione di Donatella Di Cesare su “Essere e tempo”, un titolo che non indica tanto il contenuto del libro, quanto la sua intima sfida, ovvero comprendere l’Essere a partire dal Tempo in quanto la temporalità dell’Essere è al suo centro: con questo spostamento concettuale, Heidegger cerca di andare oltre la metafisica tradizionale che ha la colpa di aver inteso l’Essere in opposizione al Tempo e lo ha quindi “entificato”, reso un ente come gli altri e in definitiva obliato.

Il protagonista di “Essere e tempo” è il Dasein, ovvero l’Esserci che ciascuno di noi è singolarmente, con la sua precomprensione vaga e media dell’Essere, il solo, tra tutti gli enti intramondani, che può interrogarsi sull’Essere. L’Esserci non va mai assunto staticamente perché è sempre un Poter-Essere: la sua essenza sta tutta nella sua esistenza, nel suo emergere ogni volta in un dinamismo di possibilità, in un continuo bivio di fronte al quale deve scegliere. Il Dasein si trova sempre a un bivio tra Autenticità e Inautenticità ove la prima indica la scelta consapevole dell’appropriazione delle sue possibilità più proprie. Questo “ci” dell’Esserci (il “da” del Dasein) richiama la dimensione di fatticità in cui esso è immerso e anche la sua stessa “gettatezza” (Geworfenheit) originaria, cioè la condizione ineluttabile finita in cui ciascuno di noi è stato “gettato” e in cui è “situato”. Ma l’Esserci è anche preda dell’affettività, che non è affatto un accidente: tutto ci appare sempre in una data disposizione emotiva e questa incide sul nostro rapporto con le cose e con il mondo.

Nella prospettiva metafisica pensiamo all’Esserci come a un rapporto semplicemente spaziale fra noi e il nostro mondo, ma il mondo è un esistenziale, è un abitare presso, un “abitare con”. Ciascuno di noi è gettato, ma ha un compito, un progetto: il Progetto-Gettato.

Eccoci alla cifra performativa della filosofia heideggeriana. Attraverso la “gettatezza” siamo proiettati verso la nostra gamma di possibilità. l’Esserci è sempre anche un Essere-con-gli altri. Di qui il rischio di conformità, anzi, la “dittatura del si” (si dice, si pensa, si fa,…) la quale ci trattiene nell’Inautenticità, ci rende deietti, dispersi, in caduta, alienati. È il “si” della chiacchiera, dell’opinione di tutti, del modo di essere della quotidianità, della dittatura della pubblicità (nel senso di pubblico): anche quando vogliamo essere contro, seguiamo sempre il “si”, perché “si è contro” in un dato modo.

E allora come possiamo passare dalla Inautenticità all’Autenticità ed evitare la deiezione? Sono 2 le risposte che ci dà Heidegger attraverso i concetti di “Angoscia” e di “Essere-per-la-morte”. Mentre la Paura è sempre paura di qualcosa di determinato, l’angoscia è paura del Nulla. Cerchiamo sempre di emergere da questo fondo abissale del Nulla che avvertiamo nell’angoscia. L’Angst è allora la possibilità del passaggio all’Autenticità in quanto ci mette davanti alla nostra finitezza. L’Inautenticità, il “si”, ci spingono a tabuizzare la morte, ad allontanarla. Ma l’Autenticità sta proprio nella “decisione anticipatrice” della morte che è l’Essere-per-la-morte, cioè il vivere pensando a questa possibilità estrema e quindi progettando la nostra esistenza nel raccoglimento, accettando la nostra finitezza e temporalità per progettandoci in esse. Ecco la strada heideggeriana verso l’agognata Autenticità.

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